Il viaggio di Umberto Terracini
Il giovane e brillante avvocato torinese Umberto Terracini è sul treno che lo porterà a Livorno, dove parteciperà come rappresentate della sinistra estrema al XVII congresso del Partito socialista italiano. Guarda il paesaggio e prepara mentalmente il discorso che farà a Livorno. È immerso in questi gravosi pensieri, Umberto, quando la donna che nello scompartimento sta proprio di fronte a lui lo chiama alla conversazione: un’eventualità, questa, che non aveva preso in considerazione. “Cosa legge di bello, avvocato Terracini?” Ma come si permette questa? gli verrebbe da rispondere, ma traduce il fastidio in una sorta di sorriso, sghembo quanto si vuole ma pur sempre un sorriso. “Forse si chiede come faccio a conoscerla…” “In effetti…” Madama Lisabetta la chiama ora Umberto, che finalmente l’ha ben inquadrata ricordando come sua madre gliene abbia parlato spesso. Una bravissima sarta ma anche una donna coraggiosa, che è riuscita a sopravvivere, liberandosene, a un marito ubriacone e manesco. Dopo brevi convenevoli, la conversazione si è accesa. Per Umberto si tratta - usiamo le sue parole- di “tastare il polso alle masse”: ciò che non sempre gli è possibile dal chiuso della redazione dell’Ordine Nuovo. Capita però che i discorsi di Madama Lisabetta non siano esattamente quelli che il compagno Terracini vorrebbe sentire. Si tratta di generiche accuse ai politici -socialisti compresi- “che pensano solo a sé e ingrassano sulle spalle della povera gente”. Ce l’ha, Madama Lisabetta, contro gli scioperi che colpiscono prima di tutto la gente comune : quanto agli scioperanti … “voglia di lavorare saltami addosso”.