Ad un passo da Schubert
Si apre la 77° stagione di Amici della Musica di Perugia al teatro Morlacchi, e ci troviamo davanti al 2749° concerto suonato all’interno di questa magnifica cornice.
Bene, sono le 20:30, è venerdì sera, appena fuori dal teatro inizia la pre-serata del weekend, la gente fa aperitivo, poi va a cena e dopo finisce sulle scalette (o in giro per locali) a vomitare anche l’anima a causa dell’alcol.
Non noi, no… io e Marzia siamo maturi, vogliamo passare il venerdì sera facendo qualcosa di stimolante ed intellettualmente impegnativo, e quindi scegliamo di assistere all’Ottetto in FA maggiore per fiati e archi op. post. 166 (D. 803) di Franz Schubert.
L’opera è considerata una dei lavori “più solari” dell’intera produzione del compositore viennese, che per questo lavoro si è ispirato al Settimino op. 20 di Beethoven, caratterizzandolo con il suo tratto distintivo più “romantico” e firmandolo col suo personale modo di comporre, inserendo inaspettate divagazioni di tonalità.
Mentre assistevamo a questo strabiliante momento, pensavamo a come avremmo potuto descrivervi questo evento, ed è stato lì che abbiamo avuto un’epifania… “noi non sappiamo assolutamente nulla di musica classica”.
Avremmo potuto parlarvi della sensazione 800esca che permeava all’interno del teatro; avremmo potuto dirvi che il primo movimento (che a quanto pare è il linguaggio tecnico per dire “brano” in musica classica) fosse dedicato alla diversa sensibilità degli ascoltatori e che avrebbe fatto presa su coloro che amano i minuetti; avremmo potuto dirvi di aver sentito rimandi umoristici, a tratti yodelistici, nonostante fosse una marcia… ma alla fine no, niente di tutto questo.
Vi diciamo invece che il primo movimento ci ha sorpresi tantissimo, soprattutto quando ad un certo punto è sfociato in un crescendo che 1, 2… un crescendo che conta.
Il secondo lo ricordo principalmente perché avrei voluto fare una storia su Instagram, ma non è stato epico come il primo, quindi sono rimasto un po’ “meh”.
il terzo è stato invece delicatissimo, abbiamo pensato che ci volesse un talento incredibile per sfiorare così delicatamente gli archi e produrre quella magia… tra un passaggio e l’altro ricordo di aver pensato “non sapevo che il silenzio potesse emettere un suono così forte” .
Il quarto movimento alla mia collega è suonato particolarmente familiare, dice che dava quelle vibes al “castello della bella e la bestia”, se chiudeva gli occhi riusciva quasi a vedere Belle intrattenersi in un ballo con il Furry della Walt Disney più famoso del mondo.
Il quinto proprio in stile rave, ho scritto sui miei appunti “sembra teKno ma non è, serve a darti l’allegria!” prendendo in prestito la famosa frase di “Pollon combina guai”.
Ce ne sono stati altri, ma abbiamo deciso di risparmiarvi ulteriori commenti inutili.
In conclusione, come avrete capito non ne sappiamo niente di musica classica, ma una cosa l’abbiamo capita… l’atmosfera che si crea in un ambiente suggestivo come il teatro Morlacchi, insieme ad un gruppo di fiati e archi può essere davvero una bella esperienza.
Se siete esperti del settore troverete sicuramente recensioni più tecniche della nostra, se non ne sapete nulla invece… ve lo consigliamo vivamente, è un’esperienza che da l’illusione di essere intellettuali senza la scomodità di doverlo essere davvero, e a bere ci si può sempre andare una volta usciti.
A cura di Ruben Gulli