Antidoti alla fuga: i giovani italiani e la scelta di restare
I giovani italiani di talento sono sempre più invogliati ad andare all’estero per cercare lavoro. C’è qualche possibile antidoto alla fuga dei migliori, di coloro che voglio farsi spazio grazie alle proprie capacità, meriti e voglia di fare? La fuga all’estero è un’esperienza, una scelta o una costrizione?
A queste domande hanno provato a rispondere al Centro Servizi Alessi, Simone Brunozzi, technology evangelist, Amazon, Alessandro Rosina, docente di Demografia presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma e Eleonora Valtolina giornalista e blogger.
Nella nostra società ci sono degli ostacoli strutturali che impediscono ai nostri giovani di capitalizzare il proprio valore. «Ma il problema risiede nei giovani stessi –sostiene Rosina- le nuove generazione sono deboli ed hanno accettato passivamente questa situazione diventando complici e vittime allo stesso tempo». Sul banco d’accusa ci sono, oltre alle nuove, soprattutto le vecchie generazioni che hanno contribuito all’aumento del debito pubblico. Anche lo Stato con le sue politiche continua ad avere una forte attenzione verso gli “anziani” essendo l’attuale classe dirigente e politica. In questa epoca il capitale umano è fondamentale e «sarebbe opportuno investire sui giovani, a maggior ragione se sono pochi, com’è il caso del nostro paese –prosegue Rosina- ma da noi accade il contrario: si investe sui vecchi».
Questa tragica situazione provoca l’immobilità del paese e le vie d’uscita sono poche: o continuiamo ad appoggiarci alla famiglia o ce ne andiamo all’estero. «Un’esperienza oltre i confini potenzia certamente le capacità, ma non è sempre del tutto positivo perché magari vanno via i migliori, quelli più bravi che invece servirebbero» aggiunge Brunozzi. Ma uscire dall’Italia non è mai così semplice perché non sempre i paesi extraeuropei lasciano “visti” al di fuori di quello turistico, oppure per il problema della lingua: in Italia conosciamo poco e male l’inglese. «Un eventuale ritorno da un esperienza lavorativa estera non è mai facile per la totale diversità con l’Italia a livello di stipendi e di trattamenti» -sostiene Brunozzi che attualmente lavora nel campo della tecnologia a Singapore.
Da non dimenticare infine che la nostra è “La Repubblica degli stagisti” -titolo del libro di Eleonora Valtolina- e per dirla alla Beppe Severgnini «la nostra non è una «Repubblica fondata sul lavoro, ma sullo stage».
Il nostro paese investe poco in ricerca e sviluppo, il 50% in meno rispetto ai paesi europei. I giovani dipendono ancora dalla famiglia ed è piuttosto strano vedere che la nostra società incentiva la dipendenza piuttosto che l’autonomia. Purtroppo finchè i giovani saranno percepiti come figli invece che come cittadini, il loro punto di riferimento sarà sempre la famiglia e non lo Stato. Brunozzi alla fine pone una domanda al pubblico composto per lo più da ragazzi: «Chi è fiducioso nelle prospettive lavorative italiane»? Un 35/40% dei presenti sembra esserlo…
Marco Biscardi