“Com’è difficile essere cattivi” - L'anima buona di Monica Guerritore

“Com’è difficile essere cattivi”  - L'anima buona di Monica Guerritore

La prostituta Shen Te è l’unica anima buona che gli dèi, durante una lunga ricerca, sono riusciti a trovare nella capitale della regione cinese del Sezuan. Le tre divinità vorrebbero dimostrare che, con l’esistenza della donna e nonostante la miseria e la malvagità che pervade gli esseri umani, è ancora possibile rispettare i loro severi comandamenti. 
Poiché Shen Te li ha ospitati presso la sua casa, questi le lasciano in dono una somma di denaro sufficiente a farle sperare in una vita migliore, con la promessa di restare altruista e caritatevole con il prossimo. La donna, con il poco che riesce a costruire per sé, fa del bene a tutti i bisognosi del quartiere, ma questo la porta ad essere circondata di personaggi falsi, avidi ed egoisti, che si approfittano dei suoi averi e della sua bontà. Così è costretta da presentarsi a loro cospetto in vesti differenti, quelle dello scaltro e malvagio cugino Shui Ta, per liberarsene e per tentare di rimettere in sesto la sua situazione economica. 
Ma ciò non è sufficiente: la bontà di Shen Te rimane vittima del fascino di Yang Sun, un aviatore disoccupato, che finge di amarla ma è  solamente interessato al suo denaro.
Nonostante la consapevolezza di certe inclinazioni dell’amato, la donna, pur ormai impersonando sempre l’autoritario cugino per difendersi dai parassiti che cercano di soggiogarla, non riesce ad essere malvagia fino in fondo. La situazione precipita e si svela sua essenza: un’anima buona. 
 
L’amore è stata la più grande debolezza di Shen Te che non le ha permesso di essere buona con gli altri e, allo stesso tempo, con sé stessa. L’ amore per il prossimo ha fatto sì che venisse consumata un pezzetto alla volta da coloro che, a differenza sua, non sanno cosa sia la bontà. 
Monica Guerritore, regista e protagonista di questo spettacolo, ha riportato in scena la versione scenica de L’anima buona di Sezuan di Giorgio Strehler, per omaggiare colui che definisce il suo Maestro: Bertolt Brecht. L’autore mette in scena una serie di personaggi crudi, connotati da forte ambiguità, miseri nella miseria, si affannano per i propri interessi,  non hanno scrupoli, si approfittano di tutto quello che possono - che non ne hanno mai abbastanza. 
 
Personaggi che sono l’emblema dell’uomo e che ricreano delle dinamiche verosimili, se paragonate alla società odierna.  Le anime buone vengono abbandonate da tutti:  dagli affetti e persino dagli dèi.
È difficile essere cattivi, ma a quanto pare, nel Sezuan, è piuttosto naturale. I personaggi  si muovono su uno sfondo indefinito, il cui scorrere del tempo è indicato da un pallido sole e una sfocata luna. Si scambiano saluti, parole, angherie su un girevole che li conduce, da una scena all’altra, in modo continuo e fluido. La luce, senza una precisa fonte, invade i loro corpi e riscalda la scena rendendola surreale, ma così vicina all’immaginario comune della realtà. 
 
A cura di Francesca Cappelli e Oscar Giambitto