De rerum justitia
In una sala dei Notari gremita come non mai di giovanissimi e meno giovani, si applaude l'ingresso di Luca Palamara, presidente dell'Associazione Nazionale dei Magistrati, giunto a Perugia per partecipare al panel discussion su “Giornalismo d'inchiesta o complotto mediatico giudiziario?” in programma per ieri pomeriggio alle 18.00.
Nel giorno in cui la Camera approva, con una maggioranza piuttosto risicata, 314 si e 296 no, il processo breve, Giuliano Giubilei, vice direttore del Tg3 e moderatore dell'incontro, non può che far iniziare il dibattito tra gli ospiti chiedendo un personale commento, da addetto al mestiere, a Palamara, che non può esimersi dallo spiegare, in soldoni, in che cosa consista il cosidetto "processo breve" tanto caro al nostro Presidente del Consiglio. "E' una semplice formula algebrico-matematica", spiega il presidente dell'ANM, ovvero sarebbe una logica e ovvia riforma in quei paesi in cui la magistratura funziona in modo impeccabile e non ci sono ritardi e anomalie. Pensare invece a un accorciamento dei tempi di accertamento di un reato, in questo consiste la prescrizione breve, in un Paese come l'Italia in cui la magistratura è una macchina già farraginosa e appesantita di suo, per Palamara significa essenzialmente due cose: l'impunità di chi commette il reato e negare giustizia alla vittima. Facendo un esempio a caso, quello del reato di corruzione, la prescrizione breve accorcia i tempi di accertamento dagli iniziali 15 anni (prima del 2005) a 6 anni. Visti i recenti tagli a cultura e ricerca, perchè non tagliare qua e la anche nel caso della giustizia. Attaccare, poi, la magistratura che, secondo il Presidente del Consiglio, si accanisce ossessivamente per rovinare la sua persona, è un fatto grave. Ed era ora che qualcuno lo affermasse pubblicamente. Il dibattito poi scorre via veloce anche se tra alcuni spunti retorici e obsoleti, Claudia Fusani de L'Unità non riesce a far meno di cadere nell'ovvio trabocchetto del Caso Ruby, Gianluigi Paragone de L'Ultima Parola di Rai 2, quasi meraviglia per la sua obiettività e razionalità in tema di riforme ad personam che riguardano il Presidente del Consiglio, Alessandro Campi azzecca giusti aggettivi per la gravità dell'anomalia italiana in tema di complotto mediatico sfruttato abilmente per attacare di volta in volta il potere giudiziario o la politica. Ma per fortuna c'è chi sa spendere parole sagge e illuminanti sulla reale situazione della magistratura italiana, le uniche che incalzano il ritmo a un dibattito che sta per scadere nei clichè delle vicende personali del Presidente del Consiglio. E' Peter Gomez de Il Fatto Quotidiano, ovviamente, a risollevare le sorti di un sonnolento scambio di battute tra gli ospiti, indicando le reali motivazioni per cui la magistratura, in Italia, è quello che è: dal 1992 con "mani pulite", di cui è emersa solo la punta dell'iceberg, con un 5% dei veri colpevoli che sono usciti allo scoperto, la politica, tutta insieme senza distinzioni di colore, ha lavorato affinchè la macchina della giustizia fosse affossata e non potesse operare in maniera più efficiente. Altrimenti non saremmo mai usciti da quel vicolo buio che ha rappresentato, per alcuni, mani pulite. Se la maggior parte di coloro che siedono in Parlamento sono avvocati, se 20 di questi sono stati condannati in maniera definitiva e 85 sono sotto inchiesta, sicuramente sapranno cosa stanno facendo, no? Tutti sanno e tutti cooperano affinchè la situazione rimanga tale, altrimenti non potrebbero più esistere o, meglio, resistere, sugli stessi scranni da più di 20 anni.