La Lotta: Consapevolezza e Sintesi al Tempo del Media
Come possono essere protagonisti i movimenti studenteschi in un circuito mediatico repentinamente veloce come quello di oggi? L'Onda di protesta studentesca esplosa nel 2008 ha avuto effettivi problemi di continuità oppure i riflettori dei media oscillano strumentalmente? Ne hanno discusso diversi protagonisti dell'incontro dedicato al rapporto tra movimenti studenteschi e media.
Raccontando la propria esperienza di documentarista interno ai movimenti che hanno scosso la fine dei decenni '60 e '70, Mimmo Calopresti ricorda i lunghi telegiornali autogestiti del Movimento della Pantera bolognese e i volantini di sette pagine: anticomunicativi, dice. I movimenti non erano consapevoli dell'isolamento che in realtà soffrivano; Il giovane Calopresti, dunque, scelse il cinema proprio come "strumento più forte della cronaca".
E' più importante andare sui media o cambiare la società? Chiede provocatoriamente Concetto Vecchio di Repubblica: i giornali non esauriscono la società e a volte rischiano di evidenziare l'autoreferenzialità del movimento stesso. La stessa teatralità del gesto ("Con l'Onda" afferma Vecchio "l'attenzione mediatica si è infatti consapevolmente concentrata sulla sperimentazione delle nuove forme di protesta del movimento") può essere un rischio nella misura in cui si mettano in secondo piano i contenuti portati all'attenzione dalla protesta, a vantaggio delle attività dimostrative. Inoltre, il giornalismo al tempo della velocità è soprattutto semplificazione, riduzione della complessità a sintesi. L'autorevole replica di Francesco Raparelli, attivista dell'Onda, non si fa attendere. Il giovane dottorando crede fortemente che assumere media e informazione come campo di battaglia sia stato uno dei maggiori progressi dell'Onda: comunicare in termini produttivi, non narcisistici. Il movimento studentesco non ha abbandonato tuttavia l'attenzione riguardo alle pratiche di protesta e di lotta, come la teatralizzazione della piazza e la creatività necessaria ad attrarre la sete di notizia del mainstream.
Quel che si scorge nel dibattito è la sottile ma fondamentale differenza tra movimenti studenteschi odierni e quelli del passato, dal sessantotto al settantasette: la consapevolezza della lotta. Su internet e sui blog – per quanto possano essere strumenti di attivismo politico – non passa la vita, non arriva l'empatia e l'amore per la persona che solo la lotta in piazza può dare, e ricevere. Media e movimenti devono rimettere le persone al centro, ascoltarle, raccontarle. Raccontare degnamente la storia dei movimenti – come ha fatto il Calopresti regista – vuol dire tentare di cambiare il modo di rapportarsi col mondo dello spettatore.
Calopresti conclude citando Pasolini, evidenziando come i movimenti estremi – di cui egli stesso era parte – sono implosi in quanto sottocultura, non cultura. C'era insufficiente consapevolezza. E se mancava allora, figuriamoci oggi.