LASCIAMOLI ANNEGARE. GIORNALISMO-ATTIVISMO CONTRO LA RETORICA ANTI-IMMIGRAZIONE?
L’ennesima tragedia del mare: 400 persone sono morte pochi giorni fa nel Mar Mediterraneo nel disperato tentativo di raggiungere le coste italiane. L’ennesimo viaggio della speranza che si è concluso in tragedia. È con questa notizia che inizia il panel discussion che vuole sensibilizzare la popolazione sul tema dell’immigrazione. Herman Grech, direttore media del The Times of Malta, usa parole semplici per descrivere la situazione: “Una tragedia intorno a noi”. Ed è proprio di questo che si tratta, una tragedia, che continua a ripetersi ogni giorno, quando centinaia di persone scappano dalla loro terra natia per il miraggio di una vita migliore in Europa. Grech, cerca da tempo di far capire alle persone la realtà della situazione, arrivando addirittura a pubblicare sul sito internet della sua testata la drammatica telefonata proveniente da un barcone che stava affondando al largo della Grecia. Purtroppo però i pregiudizi della gente sembrano sempre prevalere, e si rimane basiti quando il giornalista mostra alcuni commenti pubblicati sul sito. Un esempio?: “Le donne incinta che intraprendono questi viaggi dovrebbero essere incarcerate per aver messo in pericolo la vita dei loro bambini non ancora nati”, e ancora “Le donne arrivano incinta così ricevono più attenzione dai sistemi sanitari”. Commenti razzisti è dir poco e Grech risponde che occorre assolutamente cercare di portare a galla la verità, soprattutto attraverso i media. Si, perché i giornalisti troppo spesso trasformano le tragedie di queste persone in numeri e statistiche, dimenticandosi però degli esseri umani che vanno a formare questi numeri.
Maeve Patterson, membro di Amnesty International, attraverso attraverso la fotografia di tre sorelline morte in mare, sottolinea come sia importante continuare a dar voce alle persone, anche di quelle che purtroppo non c'è l’hanno fatta. Ma come lo si può fare? Maria Teresa Sette, giornalista, sembra esserne sicura: i giornalisti finora hanno fallito perché non sono stati in grado di creare empatia, a far capire alle persone la realtà che vivono i migranti quando decidono di intraprendere un viaggio in mare in un’imbarcazione di fortuna. Come creare quest’empatia? Bisogna cercare di mettersi nei panni di queste persone: potrebbe sembrare scontato, eppure molti non ci riescono. O forse neanche ci provano, perché infondo è più facile giudicare che fermarsi a pensare.
L'ALTRA FACCIA DEL MEDIO ORIENTE: QUANDO IL REPORTAGE SVELA LE SOCIETÀ
Raccontare la vita dei giovani iraniani, fra tradizione, sogni e voglia di libertà. È questo che hanno fatto Nicola Zolin e Loulou d'Aki, rispettivamente fotogiornalista e fotografa, attraverso i loro reportage. L'incontro svoltosi all'Hotel Brufani è servito a raccontare un lato diverso dell'Iran, un aspetto inedito che solitamente non si vede nel mainstream.
Nicola Zolin è un giovane fotogiornalista, che ha deciso di intraprendere un viaggio alla scoperta dell'anima più segreta dell'Iran, uno dei paesi più travagliati del Medio Oriente. E ha raccontato quest'anima attraverso le storie dei giovani, che costituiscono la maggioranza della popolazione iraniana (più del 60%), e che, come tutti i ragazzi, vorrebbero vivere liberamente la loro vita. Cosa però non facile in una nazione in cui le tradizioni sono ancora molto forti e le influenze religiose la fanno da padrone. O almeno in apparenza, perché, se all'esterno i giovani iraniani devono rispettare regole rigide, all'interno dei loro spazi privati cercano di vivere il più liberi possibile. E allora ecco che dalle foto di Zolin emergono immagini che non ti aspetteresti di vedere in Iran: feste private nelle case, in cui le ragazze non indossano il velo, dove si fuma e si consuma alcol; immagini che mostrano persone giovani che si stanno divertendo, e il divertimento deve essere inteso nel senso più genuino del termine. E infatti Zolin commenta:"Non mi é mai capitato di vedere persone godersi così tanto il divertimento". Il fotogiornalista ha passato diversi mesi a vivere con i giovani dell'Iran, nelle loro case (per sua ammissione non ha mai alloggiato in un albergo) e secondo le loro abitudini. Ha ascoltato in prima persona i racconti di questi ragazzi, che sono per lo più studenti -il livello di scolarizzazione in Iran é molto più alto della media degli altri paesi mediorientali- e che vorrebbero solo riuscire a realizzare i propri sogni, senza rinnegare la tradizione, ma riuscendo a raggiungere la tanto agognata libertà personale. E per libertà non si intende solo non dover indossare il velo se si é donne, ma soprattutto poter viaggiare, conoscere il mondo, ascoltare e suonare liberamente la musica che si preferisce senza dover incorrere in punizioni. Significa poter fare il modello senza che tuo padre ti porti dallo psicologo perché ti considera malato a causa di quel tuo desiderio, significa non essere arrestato perché sei omosessuale.
Anche la svedese Loulou d'Aki ha realizzato un reportage fotografico in Iran da inserire in un progetto più grande, dal titolo "Make a wish", in cui fotografa i giovani e chiede loro di descrivere i propri sogni. Nel suo viaggio fotografico all'interno dell'Iran anche lei ha notato la netta separazione tra la vita pubblica è quella privata dei ragazzi iraniani, ed ha sottolineato come la vita di questi ragazzi sia segnata non tanto dalle differenze tra la loro cultura e quella occidentale, bensì dalle differenze generazionali tra loro e i propri genitori. Gli adulti sono ancora troppo attaccati alle tradizioni per capire quanto sia importante essere liberi per i loro figli.
Un panel davvero interessante, che ha fatto conoscere alla gente in sala uno spaccato di una società che è ancora sconosciuta ai più.
Martina Beccafichi