L'Italia da maledire

L'Italia da maledire

La prima giornata del Festival del Giornalismo si è conclusa con un incontro con Concita de Gregorio e Maurizio Landini alla Sala dei Notari. In realtà, epicentro della discussione dovevano essere le storie di due ragazzi, Claudio e Claudia, che sono fuggiti all'estero in cerca di migliori condizioni e forse, di fortuna. Ed è proprio sul verbo "fuggire" che si è incentrata la mia attenzione. Fuggire, scappare, lasciare il proprio Paese è un concetto che non credo riuscirò mai ad accettare. Mi fa sorridere il fatto che la ragazza in questione fosse quasi contenta di essere approdata in Spagna e di aver ricevuto come secondo cognome, quello che per loro è normale ma non per noi, "Nessuno". Sì, nessuno. La ragazza era contenta di essere chiamata nessuno. Io non ce la posso fare. Di certo, non ci si può lamentare dell'estenuante presenza dello Stato italiano, non vedo proprio perché si debba cambiare Paese per essere anche lì un'altra "nessuno" con un accento strano. Apprezzo il fatto che Concita De Gregorio abbia voluto dedicare un libro a casi del genere, ma onestamente, non mi sembra che all'estero il disagio di questi ragazzi sia venuto meno. E' solo un palliativo. Un modo come un altro per sentire davvero di stare facendo qualcosa. Capisco il discorso meritocrazia e bla, bla, bla. Ma, ecco, la Spagna non è che sia molto diversa dall'Italia. Scappare in cerca di un lavoro in un Paese con quasi la nostra stessa percentuale di disoccupazione, non mi sembra sintomatico di quanto non si possa vivere qui. Mi sembra sintomatico semplicemente di quanto la gente abbia cambiato modo di ribellarsi. Parlavano della rabbia che cresce in questo Paese, giorno per giorno, come di una panna che si monta, si monta per poi diventare acida. Io non capisco, e lo dico con tutta sincerità, perché questa panna si trasformi, infine, in voti a partiti populisti o in fughe. Votiamo l'antipolitica, perchè questo è smettiamola con le giustificazioni, o scappiamo. Un tempo, i popoli non reagivano così. Anzi, vi dirò, i popoli tuttora non reagiscono così. E' che la "barbarie" di cui tacciamo intere popolazioni è forse la consapevolezza della forza popolare che noi abbiamo semplicemente perso. E la colpa non è dei sindacati, come voleva far credere la giornalista "nessuno". Almeno non totalmente. La colpa è nostra. La colpa è di noi, i cosiddetti "giovani", sempre nel senso lato del termine, che ci siamo cullati sulle conquiste degli altri. Talmente tanto da perderne il senso della loro importanza. E' un po' come quando ai bambini si dà tutto e loro danno tutto per scontato, come se tutto li fosse dovuto. Beh, non è così che stanno le cose. Ed è colpa nostra e del nostro individualismo sfrenato se non riusciamo a ricondurre le nostre esigenze alle esigenze di un popolo. Prima della riforma Fornero, velleitaria e vanitosa, i nostri diritti dei lavoratori erano già stati fortemente messi in discussione dal Governo Berlusconi, dalle clausole ad aziendam per coprire il caso Fiat, dalla derogabilità dei contratti aziendali alla legge. E chi ha fatto nulla? Dove sono finite le manifestazioni? Quelle vere, intendo. C'è più gente a un comizio di Berlusconi in Piazza del Popolo che non quando vengono approvate leggi che mandano all'aria cinquant'anni di avanzata legislazione. E allora io non me la sento proprio di autogiustificarci, di dire "fate bene ad andarvene", di dire "mandiamoli tutti a casa". Il problema è il nostro e la nostra classe politica è solo quello che meglio ci rappresenta.

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