Un pranzo "scroccato" ad Alfredo Macchi

Un pranzo "scroccato" ad Alfredo Macchi

Una settimana fa, scandagliando la lista delle persone che sarebbero dovute intervenire durante il Festival del Giornalismo di quest'anno a Perugia, vidi il nome di Alfredo Macchi e mi scattò subito l'idea di contattarlo.
Su di lui avevo già scritto l'anno scorso, durante il festival passato, quando tenne un incontro con noi ragazzi nel quale ci spiegò cos’è un reportage e come doveva essere fatto, nonchè facendocene vedere uno intitolato "Morire per vivere" sui rifugiati che da Patrasso cercano di entrare in Italia nascosti nei camion, e che vinse il Premio giornalistico televisivo ILARIA ALPI 2009.
Avrete capito quindi cosa fa Alfredo per vivere. Alfredo Macchi è uno dei reporter più premiati e con più esperienza in Italia nonostante i soli 44 anni. Kosovo, Iraq, Cisgiordania, Israele, Pakistan, Libano, Algeria, Argentina, Bolivia, Bosnia, India, Madagascar, Mozambico, Perù, Venezuela e ultimamente Tunisia, Libia e Marocco sono solo alcuni dei luoghi toccati negli anni grazie al suo lavoro. Il reporter in zone ad alto rischio non è colui che racconta ciò che succede nel mondo magari da una comoda redazione nel centro di Roma, ma colui che le vive in prima persona, attraversando il mondo e sentendo i fatti dai diretti interessati perchè come diceva Moretti le parole sono importanti, e quindi non bisogna parlare di cose che non si conoscono; voi vi fareste mai raccontare cosa sta succedendo ora in Libia da chi non mai sceso più in basso di Bergamo?
Ma torniamo a noi; chiamandolo scoprii che purtroppo quest'anno non sarebbe intervenuto al festival e che il sito quindi non era stato aggiornato a dovere ma ricevetti subito la sua piena disponibilità per un incontro a Roma, dove in questo momento lavora per News Mediaset testata che fornisce servizi a tutti i Tg Mediaset tra cui reportage per "Live" di Italia Uno e "Terra!" di Canale5. Detto fatto; non me lo sono fatto ripetere due volte, sono salito sul primo treno per Roma e dopo un viaggio biblico di 4 ore e 45 minuti (per le due ore in più bisogna ringraziare Trenitalia) mi sono presentato sotto la redazione di Mediaset come un bambino troppo piccolo che tenta di imbucarsi sulle montagne russe di nascosto.
Alfredo è come già ho detto una persona molto a modo, mi accoglie venendomi a prendere all'entrata, e chiedendomi: “Mangiamo?”. Ecco, a quel punto gia’ mi aveva conquistato. Il colpo finale è riuscito a darmelo durante le due ore successive in cui è riuscito a dimostrare quanto un buon giornalista possa parlare oggettivamente di ciò che gli accade intorno non disdegnando più che giuste critiche alla politica internazionale e al “Sistema Giornalismo” di cui fa parte e che vige in Italia in questo momento. Ma andiamo per gradi.
Ci sediamo a tavola, pranzo offerto da lui (ho salvato la faccia pagando il caffè), e li mi accorgo che il primo quarto d’ora sarebbe passato a ruoli invertiti, Alfredo chiede di me e della nostra redazione, io rispondo. Parlando dell'interesse verso il mondo giornalistico che si assapora nella redazione di RadioPhonica.com nasce lo spunto per la prima domanda.
Quello che volevo capire, era come potesse un ragazzo oggigiorno intraprendere quella professione e quindi, partendo dalla sua esperienza passata, arrivare a qualche consiglio o linea guida per evitare di andare “fuori strada”.
Alfredo Macchi si è formato giovanissimo, finito il liceo classico, e la scuola di giornalismo di Milano ora intitolata a Walter Tobagi, zaino in spalla è partito per New York, “Con grandi aspettative e il sogno di diventare corrispondente dagli Stati Uniti”, mi dice. Dopo molte collaborazione con testate italiane quali il Corriere e l’Espresso con Giovanni Forti, dovette tornare in Italia, perchè “Quando ti pagano in lire, poco, una volta ogni 3 mesi e allora vedi che non riesci più a mettere insieme il pranzo con la cena capisci che è ora di tornare”.
In Italia, dopo un anno passato alla RAI, approda al Tg4. Qui per me è stato impossibile non chiedergli se effettivamente Emilio Fede è, come appare dalla Tv, una prima donna o meno. Con il sorriso risponde affermativamente, ma tentando di farmi capire che c’è più di quello che traspare dalla televisione. Fede viene descritto come “Uno che è cresciuto in quella enorme scuola che è stata la RAI degli anni 50-60 grazie alla quale conosce il mondo televisivo come le sue tasche, e quindi è in grado di insegnarti a fare i servizi in un certo modo. Una tecnica che in Italia in questo momento conosce Santoro e pochi altri”.
Quindi cosa deve fare un ragazzo ora, nel 2011, per crearsi un futuro da giornalista? mi domando. “Passo per passo, senza fretta. Cominciare a scrivere le piccole notizie che legge qualcun’altro, fare il primo pezzo magari sulla fiera di Natale, con il tempo ti chiederanno di uscire a registrare un piccolo pezzo finchè un giorno il Direttore ti chiamera’ nel suo ufficio proponendoti di fare una trasferta all’estero. La prima cosa che feci fu su Lourdes, ed ora sono tornato da poco dalla Libia.” Raccomandati ce ne sono?, gli chiedo. “Certo, purtroppo raccomandati ce ne sono ovunque, ma alla fine se uno è bravo può farcela benissimo senza spintarelle e solo chi è capace davvero riesce ad andare avanti a farsi conoscere e soprattutto a crearsi un credibilità che oggi è tutto per un giornalista”
A questo punto, finito il pranzo, durante il caffè e la mia meritata sigaretta (lui mi dice di aver smesso dopo aver preso la malaria ad Haiti) ci scappa una piccola indiscrezione. Voci provenienti da Tripoli ipotizzavano che il rimorchiatore Asso 22 della Augusta Offshore, trattenuto nel porto libico, facesse parte di un operazione dei servizi segreti italiani, iniziata prima dell’aggravarsi degli scontri, il cui scopo era quello di portare in salvo il Rais e alcuni suoi familiari. Ad avvalorare la tesi il fatto che si sapeva da giorni dell’imminente attacco e una nave non si sarebbe potuta avvicinare cosi’ tanto alle coste libiche. Naturalmente sono solo voci, chissà se prima o poi verranno mai confermate o meno.
Spenta la sigaretta ci mettiamo in cammino per lo stabile facendo una sorta di giro turistico. Passando per la redazione, che ricalca alla perfezione l’ideale di “Redazione” che magari si può avere tramite la comune filmografia sul giornalismo (tante scrivanie una vicina all’altra per intenderci), arriviamo prima alla sala di montaggio, poi alla regia e infine nello studio di registrazione del Tg5. Dopo una breve sosta nell’ufficio di Alfredo, dove è stata scattata la foto di questo articolo, ci sediamo fuori su una panchina di questo splendido comprensorio che sorge tra il Colosseo e le Terme di Caracalla (“nulla a che vedere con gli studi di Milano2 e il suo laghetto con le paperelle finte”, mi dice).
Qui iniziamo una chiacchierata lunghissima, toccando molti argomenti, la sua vita da giornalista, come essere un giornalista ma anche su l’Italia, il Medio Oriente e la televisione Italiana degli ultimi 20 anni.
Parlami della tua esperienza, quale è stato il viaggio che più ti ha toccato com’è la vita del reporter di guerra e quali sono i limiti entro i quali deve trattenersi un giornalista durante i suoi viaggi?
“Per quanto riguarda i limiti, innanzitutto il rispetto per il telespettatore e per il soggetto del tuo reportage. In questa guerra mi è capitato di vedere molte cose che non ho potuto mettere nei miei pezzi. Mutilazioni, cadaveri bruciati, sono cose che non puoi mandare perchè faresti inorridire chi ti guarda ottenendo solo l’allontanamento della persona; offenderesti il telespettatore e rischieresti di toccare la sensibilità di molti minori. Quindi c’è bisogno di molto rispetto che deriva dalla sensibilità tua e del tuo direttore per non danneggiare anche i protagonisti stessi del reportage. Io ho parlato con molte persone che facevano parte del movimento di opposizione in Libia che giustamente non volevano essere inquadrate perchè rischiavano ritorsioni da parte di Gheddafi qualora avesse ripreso il potere. Naturalmente pero’ la regola fondamentale è sempre non mettere mai a rischio ne la tua vita ne quella del tuo operatore perchè raccontare la guerra non è dire che tipo di armi s stanno usando ma raccontare il contesto in cui si svolge una guerra. E’ inutile quindi doversi spingere sempre e solo in prima linea quando si può tranquillamente fermarsi a 2km dal fronte riuscendo lo stesso a raccogliere testimonianze tra la popolazione. Avvicinarsi troppo è sempre un rischio. In Afghanistan nel 2001, la prima guerra che segui’ in prima linea sotto le bombe a Kabul, entrai in quelle zone con Mariagrazia Catuli seduti affianco nella stessa auto, poi io andai avanti in un altra macchina travestito da afgano con il mio operatore e un tassista del luogo quando una volta arrivato appresi che Mariagrazia aspettando troppo a ripartire sulla strada cadde in un agguato e perse la vita. Quella fu un esperienza che mi tocco’ molto e che mi fece pensare “mai piu’ venire in questi luoghi” ma col tempo capisci che la tragedia può capitarti anche per strada in macchina ma qualcuno deve pur raccontare queste cose anche se non è un esperienza piacevole. I disagi sono molti, non si trova il cibo, in Libia mangiavamo scatolette di tonno scadute, comunicare con il resto del mondo è praticamente impossibile, tante situazioni che chi non ha vissuto non può arrivare a comprende fino in fondo.”
A questo punto l’esperienza in Libia ci da spunto per parlare della situazione attuale del nord-Africa per capire cosa sta succedendo e cosa deve ancora succedere.
“La situazione in Libia è molto complicata. I ribelli non hanno ne la capacità ne le armi per spodestare Gheddafi. Gheddafi non ha nessuna intenzione di mollare la presa quindi secondo me o verra’ tradito dai suoi fedelissimi spingendolo all’esilio o facendo una sorta di colpo di stato all’interno del potere oppure le cose andranno per le lunghe. La vicenda libica pero’ va letta in un contesto molto più ampio che fa parte di un cambiamento epocale che io ho definito “il 68 arabo”. La crisi economica, che ha portato ad un aumento dei generi di prima necessita’, i mezzi di tecnologici, che hanno permesso di scavalcare la comunicazione ufficiale, e per infine il fatto che gli Stati Uniti, con la nuova amministrazione, hanno smesso di appoggiare tutte queste dittature moderate hanno portato a quello che vediamo ora; movimenti spontanei che solo se frenati potrebbero portare al fondamentalismo islamico come in Iran, dove i gruppi religiosi, più organizzati, hanno preso il potere dopo che i movimenti iraniani democratici non sono riusciti ad ottenere la libertà che cercavano. Questo movimento è solo agli inizi, visto che riguarda tutti i paesi bisognosi di libertà e giustizia. Credo che passando per l’Iran potrà tranquillamente arrivare in Cina. Ma la domanda è: L’Italia è pronta ad una rivoluzione di questo genere che toccherà tutti i paesi che la circondano? E’ pronta a sostenere queste nuove democrazie? L’Italia sta perdendo il suo controllo storico sulla Libia a favore della Francia. Oggi chi sta a approfittando di più di questi movimenti è proprio la Cina che mandando emissari riporta a casa numerosi accordi economici proprio con quelle che saranno le nuove democrazie. Il mondo è entrato in una face di accelerazione vorticosa ma purtroppo mi sembra che l’Italia stia ancora pensando alle sue scaramucce politiche non vedendo i grandi scenari. Non sta in prima line dove c’è il cambiamento aprendosi alle eccellenze nord-africane, come i tanti laureati libici o tunisini che in questi giorni approdano a Lampedusa e magari aiutando gli altri direttamente li nei loro paesi convincendoli del fatto che proprio ora che stanno per conquistare la libertà non c’è motivo di emigrare.”
Ora, la parte di chiacchierata che riguarda la politica italiana non la riporterò. Questo perchè il mio intendo, scrivendo questo articolo, era di far conoscere cosa fa e cosa vive tutti i giorni un reporter e come si può diventare nel 2011 un reporter.
Parlando di politica e della gestione politica della RAI, che secondo lui è deleteria per un informazione pluralista e libera, non mancano gli apprezzamenti per Milena Gabanelli, giornalista non schierata, analitica e che esprime il miglior giornalismo d’inchiesta in questo momento in Italia “facendo pelo e contropelo al potere da una parte ma anche dall’altra (cit)”.
Allora la domanda sorge spontanea: Come diventare giornalista?
“L’elemento fondamentale è la curiosità. Perchè quando tu sei curioso e non ti accontenti della prima versione che ti danno, quando vuoi scavare dietro le cose allora li hai già buone carte per diventare giornalista. Poi consiglio di fare delle esperienze all’estero, perchè li si lavora in modo diverso, molto più accurato, i talenti vengono coltivati e colti subito dando premi alla bravura e non alle conoscenze. Basta che tu guardi gli errata corrige all’estero. Li ci sono team interi che controllano articolo per articolo ogni minimo dato prima di essere pubblicato. Se sbagli anche solo l’anno di laurea, questo viene corretto il giorno dopo con tanto di scuse. Cè un attenzione nei dettagli che in Italia viene tralasciata. All’estero ci sono molte scuole interessati, dove puoi integrare il giornalismo con lo studio dell’informatica o della fotografia. Imparare quindi questo mestiere fuori, sperando che magari tra una decina d’anni il panorama italiano cambi, che facciano carriera i migliori e i più bravi. In Italia ci sono buone scuole. La Luiss a Roma o la Scuola di Giornalismo a Perugia ne sono degli esempi; il problema poi sono le redazioni, dove ti fanno fare anni e anni di attesa fuori da una stanza o ti pagano 5 euro un articolo. Oggi purtroppo molte redazioni sono state infarcite di raccomandati e fidanzate di personaggi importanti, tanto da togliere la possibilità ai più bravi di emergere. Credo che bisogna ripensare ai criteri con cui vengono scelti i giornalisti. Guarda l’età media dei nostri direttori, è altissima e rispecchia quello che è il nostro enturage politico. Vecchia classe politica, vecchia classe di direttori molto legati alla politica. Alla fine i direttori vengono scelti sempre negli stessi ambiti. Bisognerebbe valorizzare di più voi giovani dandovi la possibilità magari di dirigere qualche giornale importante. Da noi c’è uno stagista che parla arabo! ragazzi, questo è un tesoro che deve essere coltivato e poi sfruttato. Il mondo dell’informazione si sta mettendo in movimento però. L’arrivo di internet, dei blog, dei giornali on-line sta dando a molti la possibilità di farsi conoscere e magari anche di lavorare, mentre prima esistendo solo la Rai, dove si entrava per raccomandazione, e Mediaset, dove si passavano molti anni alla porta prima di avere un occasione, era molto difficile trovare spazi”.
Dopo l’ultima sigaretta mi accompagna all’entrata chiedendomi di mandargli l’articolo, salutandomi e dandomi appuntamento per un altra chiacchierata magari durante il prossimo Festival del Giornalismo di Perugia.
Ore 15 nuovamente alla Stazione Termini. Ore 21 casa. Sei ore per tornare a Perugia. Per le 3 ore e mezza in più del viaggio di ritorno ringrazio come all’andata Trenitalia.
Morris Bisanti

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