Arnoldo Foà, La Voce dello spettacolo italiano
L’11 gennaio scorso, a quasi 98 anni (li avrebbe compiuti il 24), è morto Arnoldo Foà: protagonista delle scene teatrali con un repertorio che spazia da Aristofane, Plauto, Shakespeare, Pirandello e Anouilh a sue commedie, come Signori, buonasera (1957), ha avuto anche una cospicua attività cinematografica, sia come famosissimo doppiatore e speaker che – soprattutto – come caratterista di sanguigni personaggi, ora grintosi ora più sommessamente ambigui, in film di importanti registi italiani e internazionali, spaziando dal cinema d’autore a quello più di genere.
Eccolo quindi protagonista con Folco Lulli di una tragicomica rissa tra contadini toscani per un pugno di sterco da concime in Altri tempi (1951) di Alessandro Blasetti, ambiguo ispettore di polizia che accompagna lo stranito impiegato Anthony Perkins nei tetri meandri della burocrazia di cui questi è vittima predestinata ne Il processo (1962) di Orson Welles, combattivo cavaliere alla testa della ribellione di un villaggio castigliano contro gli invasori musulmani ne I cento cavalieri (1965) di Vittorio Cottafavi, scafato boss delle bische clandestine di Marsiglia sconfitto dai giovani rivali Jean-Paul Belmondo e Alain Delon in Borsalino (1970) di Jacques Deray, padre sindacalista dell’operaia Senta Berger in Causa di divorzio (1972) di Marcello Fondato, tormentato monsignore dal passato compromesso coi nazisti ne Il sorriso del grande tentatore (1974) di Damiano Damiani, viscido principale del ragioniere piccolo piccolo Nino Manfredi ne Il giocattolo (1979) di Giuliano Montaldo, ministro dell’Interno cui s’appella il generale Dalla Chiesa per la sua inflessibile lotta antimafia in Cento giorni a Palermo (1984) di Giuseppe Ferrara, direttore del giornale su cui scrive il vizioso protagonista de L’attenzione (1985) di Giovanni Soldati.
Negli anni Novanta Foà ha recitato in una solida produzione televisiva quale il kolossal conradiano Nostromo (1996), ma anche in film che possono apparire azzardati come il minimalista Ardena (1997), esordio dietro la macchina da presa di Luca Barbareschi, e il demenziale Tutti gli uomini del deficiente (1999), ideato dalla Gialappa's Band alla sua prima esperienza cinematografica.
Nel corso del decennio successivo ha continuato a frequentare con regolarità i set cinematografici, interpretando nel 2003 una godibilissima figura di “padre indegno” in rotta col figlio in Gente di Roma di Ettore Scola – per la quale l’anno successivo ha ricevuto un più che meritato Nastro d’Argento come miglior attore non protagonista – ma anche personaggi più autorevoli in pellicole di registi emergenti: nel 2005 un ottimo Presidente d’Italia d’ispirazione ciampiana in La febbre di Alessandro D'Alatri, mentre nel 2006 uno scabro Papa Gregorio IX in Antonio, guerriero di Dio di Antonello Belluco e un pacato passeggero dell’aeroporto che ascolta con pazienza il “dramma della gelosia” dell’uxoricida Giorgio Pasotti in Quale amore di Maurizio Sciarra.
Del 2009 le ultime apparizioni di Arnoldo Foà sul grande schermo. “Per il mio film Le ombre rosse mi serviva un attore di età, dal tono autorevole e anche un po’ arrogante che impersonasse un vecchio e famoso sindacalista: chi meglio di lui? Considerando anche che era stato sempre antifascista e di sinistra!”, ci racconta Citto Maselli. “Sul set ci capivamo sempre al volo soprattutto quando io volevo una recitazione più interiore, più ‘sentita da dentro’, insomma per dirla in gergo ‘meno recitata’.
E lui da quel grande attore che era ma anche vecchio ‘lupo di palcoscenico’, capiva al volo e il ciak successivo in genere era perfetto. Ricordo però anche qualche leggero imbarazzo quando, profittando del rispetto e della benevolenza che lo circondava. faceva a volte gesti un po’ osè quando era di spalle alla macchina da presa ma di fronte ad altri attori e soprattutto attrici. Ma erano scherzi maliziosi e fondamentalmente innocenti per cui nessuna si offese mai, anzi ne erano divertite. Sul personaggio, poi, ci era entrato talmente dentro che alcune battute le improvvisava durante le riprese ed andavano quasi sempre benissimo, come mi era successo lavorando con due altri grandissimi attori: Gian Maria Volonté e Rod Steiger. Come uomo Arnoldo era serio e intelligentissimo, comprensivo. E con grande senso dell'humour. Io lo conoscevo dagli anni Cinquanta perché lui era amico della mia compagna di allora che era Goliarda Sapienza, che prima di diventare scrittrice era una molto brava attrice di teatro. Come attore era straordinario anche se qualche volta si compiaceva un po’ della sua bravura e della sua famosa, inconfondibile voce: io ricordo ancora con quale silenzio devoto ascoltavamo in gruppo i suoi dischi con le poesie di Lorca o quelli in cui leggeva le lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana. Chissà se sono stati rieditati, vogliamo fare una ricerca e magari chiederne una ‘ristampa’ a qualche casa discografica?”. Mentre Luciano Melchionna ricorda: “Ho conosciuto Arnoldo tanti anni fa e sono rimasto davvero colpito dalla sua disponibilità e dalla sua gioiosa umiltà nel relazionarsi con i suoi giovani ‘colleghi’. Qualche anno più tardi, poi, trovai il coraggio di disturbarlo per chiedergli di partecipare ad un mio spettacolo, Ce n’è per tutti, dove Arnoldo fu così gentile da prestare amichevolmente la sua immagine, e la sua esilarante interpretazione, per un contributo video proiettato durante la mia messa in scena. In quel filmato interpretava il padre del protagonista ma anni dopo, quando lo spettacolo divenne il mio secondo lungometraggio, Arnoldo ormai era poco credibile come padre e io, che non volevo assolutamente rinunciare alla sua prestigiosa presenza (la sua carica di energia portava ovunque serenità e fortuna oltretutto, a mio avviso), decisi di disegnare su di lui la figura di questo nonno muto. Ovviamente tutti pensarono io fossi impazzito a proporre al nostro ‘The voice’ un ruolo senza parole ma, come prevedevo, lui si divertì moltissimo all’idea e prestò con slancio la sua mimica e i suoi occhi intelligenti e spiritosi al mio personaggio. Tra l’altro, con mia grande soddisfazione, all’uscita del film Arnoldo mi testimoniò il suo profondo gradimento e la sua ammirazione per quel mio omaggio coraggioso - così ricordo che lo definì - alla ‘poesia’, a metà tra commedia e dramma. E comunque il nonno di Ce n’è per tutti, pur essendo un personaggio muto (e solo alla fine del film si capisce il perché) una parola la dice eccome... e questo grazie ad Arnoldo che, l’ultima volta che sono andato a trovarlo a casa per parlargli del suo personaggio, si è fatto trovare per gioco nella penombra, nascosto dietro Anna la sua deliziosa moglie, e ha inveito all’improvviso contro di me, apostrofandomi malamente: è stato in quel momento che io, rotolando dal ridere, ho deciso che quella ‘parolaccia’ da ‘finto omofobo’ avrebbe caratterizzato il suo personaggio. In ogni incontro e in ogni collaborazione, è sempre stato al mio fianco con la sua immensa esperienza e la sua generosità d’artista. Mi sono sentito molto sostenuto dalla solidarietà di Arnoldo che mi comprendeva - deridendomi magari per tenere viva la mia autoironia - dal profondo della sua onestà intellettuale. Mi è bastato ovviamente parlare pochissimo per spiegargli ciò che volevo da lui: con un attore così - chi ha avuto la fortuna di incontrarlo lo sa - bastava creare la situazione per ottenere immediatamente reazioni misurate e in perfetta sintonia con il personaggio. E’ stato veramente divertente e costruttivo condividere un’esperienza così importante, per me, con un mostro sacro come lui che osservava in silenzio, si lasciava sistemare, preparare e guidare senza mai lamentarsi o pretendere nulla più delle attenzioni che gli venivano riservate: un vero professionista, da prendere ad esempio.
E non dico questo per piaggeria o perché, come si fa di solito in questi casi, io trovi giusto spendere parole belle: pensando a lui non potrei trovare, neanche sforzandomi, una sfumatura fuori posto. Arnoldo era - e il tempo di questo verbo oggi suona per me davvero troppo ‘imperfetto’... - un uomo dotato di un’ironia tagliente, un ‘finto’ burbero, molto dolce in realtà e con un senso critico assolutamente disarmante ed esilarante: saltava agli occhi la modernità della sua testa, sempre viva e stimolante grazie ad una vivacità intellettuale e ad una curiosità per il genere umano incredibile. Un uomo positivo, Arnoldo, molto colto, raffinato - a dispetto delle sue provocazioni - e con un grandissimo senso del rispetto per il lavoro degli altri, specie se appassionati e professionali. Mi manca già, mi mancano le risate che riusciva a farmi fare senza sforzarsi affatto. Mi manca la possibilità di ‘approfittare’ ancora un po’ della sua Arte.
Ciao Arnoldo, e ancora grazie dal profondo del mio cuore”.