Bruno Bozzetto: “Il mio cinema (non solo) d’animazione, sempre attento all’evolversi della società e della tecnologia”
a cura di Alessandro Ticozzi
Il grande cineasta d’animazione milanese rievoca i lavori più significativi della propria carriera, tra corto e lungometraggi.
Titolare dal 1961 di una società di produzione per materiale pubblicitario, sigle televisive e caroselli, Lei è autore di gustosi cortometraggi (Alpha Omega, I due castelli, Una vita in scatola, Ego negli anni Sessanta; Sottaceti, Opera, Self Service nei Settanta) in cui spicca la serie del Sig. Rossi, alienato omino piccolo-borghese; e dei lungometraggi West and soda (1965) e Allegro non troppo (1977): come ha vissuto questa fase aurea della Sua carriera?
Molto bene: era un bel periodo perché c’era interesse per tutte le novità. La gente conosceva poco dell’animazione, e quel poco era lavoro di Disney: pertanto le cose diverse venivano accettate con molto interesse, anche se in quel periodo io giravo i film pensando solo all’estero e mai all’Italia. Nel nostro Paese nessuno vedeva i cortometraggi: quindi li facevo per i festival francesi, canadesi e jugoslavi, dove andavo e mi facevo una cultura su tutto il cinema d’animazione che in Italia non esisteva. Il Sig. Rossi nasce casualmente: volevo raccontare esagerandola una storia che mi era capitata, relativa ad un mio film che era stato rifiutato ad un festival. Ho pertanto narrato una vicenda in cui questo personaggio realizza un film con grande fatica, non viene accettato ad un festival e allora si arrabbia: massacra la pellicola, la buca, la taglia, ne fa di tutti i colori e la rigetta dentro il festival, vincendo l’Oscar. Così è nato il Sig. Rossi, che ho poi sfruttato – sempre in maniera satirica – per altre situazioni: era una sorta di Fantozzi ante litteram che andava in vacanza al mare, a sciare o al camping. Mi sono accorto che inavvertitamente ho creato la prima serie televisiva spettacolare italiana, perché in quel periodo non esistevano assolutamente i cortometraggi seriali: salvo i caroselli, che però era pubblicità pagata da un committente. West and soda era una parodia di tanti film western che avevo visto da ragazzo: abbiamo fatto una specie di miscuglio di tutti i luoghi comuni di quel genere cinematografico, trasformandolo in una specie di favola. Sapevamo fin dall’inizio chi sarebbe vissuto e chi morto, così come quali erano i cattivi e quali i buoni: la storia d’amore era già tracciata, ed era tutto prevedibile come in una fiaba famosa. Questo mi ha permesso di essere più libero nel lavorare sulle gag, sulle improvvisazioni e sulle deformazioni dei personaggi: non c’era il problema di raccontare la storia, dal momento che era già segnata e tutti la conoscevano. Allegro non troppo è invece un personale omaggio a quella musica classica da me tanto amata: avevo in mente delle storie e dei brani che si adattavano l’uno all’altro, e – sotto quest’aspetto – effettivamente potrebbe essere visto come una sorta di Fantasia italiano.
Cosa L’ha spinta nel 1987 a girare il Suo primo lungometraggio non d'animazione, Sotto il ristorante cinese?
La passione per il dal vero, che è stata la prima che mi ha attirato verso tale attività: io da ragazzo non ho fatto disegni animati, ma film dal vero. Mio padre Umberto aveva comperato una cinepresa a 8 mm, e io con quella avevo realizzato dei piccoli film insieme ai compagni di scuola: raccontavo delle stupidissime storie gialle o d’avventura, e mi divertivo un mondo. Mi piaceva la ripresa e il montaggio del cinema in generale: però mi sono accorto che non era facile, soprattutto perché ero solo e dunque era impossibile trovarmi a dover fare il regista, l’operatore, il fotografo e il fonico. Mio nonno Gerolamo era un grande affreschista, per cui mi ha trasmesso una certa capacità di disegnare: non ho mai fatto scuole di disegno, ma istintivamente avevo una certa predisposizione. Ho provato a usare la matita: mi sono accorto che mi piaceva, e che stavo facendo qualcosa che veniva molto apprezzato al cineclub in cui presentavo i miei film. Quindi sono stato incoraggiato a continuare su questa strada: ho fatto piccoli esperimenti e ho visto che funzionavano. A circa diciannove anni ho realizzato autonomamente il primo cortometraggio, Tapum! La storia delle armi: mio padre mi ha aiutato soprattutto tecnicamente, perché ha costruito la prima macchina da presa sull’asse da stiro di mia mamma. Per pura fortuna conoscevo il direttore della cineteca, che mi ha consigliato di portarlo ad un festival a Cannes: però la mia passione per il cinema dal vero non è mai morta. Quando è venuto Maurizio Nichetti nello studio, con lui abbiamo realizzato alcuni cortometraggi dal vero; dopodiché mi è venuta in mente una storia particolare che andava assolutamente realizzata sempre dal vero: ho trovato un coproduttore in Mediaset e l’ho realizzata. Quindi non c’è nulla di nuovo: sono tornato al primo amore da quando ho iniziato a fare questo lavoro.
Quali emozioni ha provato quando il Suo cortometraggio Mister Tao (1988) ha vinto l'Orso d'oro al festival di Berlino?
Molto piacere, come del resto vale per tutti i premi importanti: l’idea per sviluppare Mister Tao mi è venuta andando in montagna dietro mio padre. Lui era davanti a me, e io lo vedevo camminare per ore e ore: ho cominciato a riflettere sul fatto che camminare tutto sommato è una simbologia della vita. La vita è sempre andare avanti, proseguendo non si sa dove senza mai fermarsi: da lì m’è sorta l’intuizione che nel cammino ci fosse tutto, anche la religione.
Nel 1995 Lei ha realizzato per Hanna & Barbera un cortometraggio in animazione di sette minuti dal titolo Help? e nel 1996, in coproduzione con la RAI, il film pilota della serie La famiglia Spaghetti: quali analogie e differenze ci sono a Suo avviso tra queste due importanti aziende per cui ha lavorato?
Non cambia nulla in quanto entrambi sono committenti: tuttavia nel caso di Hanna & Barbera è stato più importante perché mi paragonavo e mi confrontavo con dei professionisti di altissimo livello, e quindi sentivo una maggiore responsabilità. Con la RAI collaboravo già da anni ed anni, giacché La famiglia Spaghetti è stato uno dei tanti serial che ho fatto: sapevo cosa mi aspettava, sicché lavoravamo con più rilassatezza.
È del 1997 la creazione di sei spot intitolati Sai guardare la TV?, che mettono a fuoco l'importanza di salvaguardare i bambini da un'errata visione dei programmi televisivi: quant’è importante ciò secondo Lei?
Importantissimo: bisogna insegnare ai ragazzi a guardare la televisione in maniera intelligente e non passiva. Qualsiasi cosa va vista con l’occhio critico: sapendo separare il giusto dall’ingiusto, lo stupido dall’intelligente, la cosa utile da quella inutile. Non si deve mai depositare il cervello, ma tenerlo sempre attivo: soprattutto quello dei bambini, che sono un pubblico molto vulnerabile. Per cui bisogna metterli sulla giusta strada e insegnare loro ad essere attenti di fronte a qualsiasi cosa che vedono: invero non solo nella TV, ma anche nella vita e nei giornali. La TV è più pericolosa perché tende a far prendere tutto come oro colato, e non è così: ogni film è un interpretazione personale che l’autore dà, e quindi può essere discutibile. Per questo mi hanno chiesto di girare quegli spot: io ho acconsentito perché sono sempre attratto da tutti i lavori che possono in qualche modo contribuire a migliorare lo spettatore, soprattutto facendolo riflettere e possibilmente sorridere. Questo secondo me dovrebbe renderlo più critico: sono tutte teorie, però mi sembra che sia un buon metodo per parlare di cose sin anche tragiche rendendole accettabili dalla gente.
Dopo aver ottenuto nel 1999 l'Airone d'oro alla carriera nell'ambito della 50° Mostra Internazionale del cortometraggio, cosa L’ha indotta nel 2000 a realizzare brevi film per Internet tra cui Tony e Maria?
Di premi alla carriera ne ho presi tanti: sono bellissimi, ma non mi toccano in quanto simboleggiano una chiusura. Il fatto di realizzare nuovi film con strumenti diversi fa parte della mia curiosità verso le cose nuove, e soprattutto verso qualsiasi mezzo che mi permetta di lavorare meno e ottenere prodotti magari migliori: le storie che ho trovato sono nate proprio in funzione di siffatte tecnologie innovative, e quindi ho cercato di semplificare al massimo la parte estetica e concentrarmi molto sul contenuto.
Ormai ultraottantenne, che bilancio trae della Sua vita privata e professionale?
Direi buona: son contento di entrambe.
Ha qualche progetto per il futuro?
Come studio, stiamo ragionando su delle idee e dei progetti: ma finché non si concretizzano rimangono puri concetti che stanno nello spazio, un po’ come l’iCloud.