Carolina Rosi: “Franco, Eduardo e Luca: l'eredità artistica di tre giganti sulle mie spalle”
di Alessandro Ticozzi
Dopo aver presentato il suo documentario Citizen Rosi all’ultima Mostra del Cinema di Venezia – e prima della ripresa della stagione teatrale – , l’attrice rievoca sentitamente il ricordo dei propri affetti più cari tra pubblico e privato, rimarcando al contempo il costante impegno per serbarne la memoria umana e professionale.
Lei è presidentessa onoraria della Fondazione Eduardo De Filippo, nonché presidentessa sia della Elledieffe istituita dal figlio Luca – che fu appunto Suo marito – che della Andiamo Avanti Productions, società a tutela della valorizzazione dell’opera di Suo padre, Francesco Rosi: come vive l’enorme responsabilità di mantenere in vita la memoria di questi tre grandi protagonisti del Novecento italiano?
È stato ed è uno degli impegni che ho preso dopo la scomparsa di mio padre e di mio marito. Ho dovuto subito tutelare, attraverso la Elledieffe, la Compagnia di teatro di Luca De Filippo e assicurare all’interno della Fondazione, come prevede lo statuto, la presenza di un componente della famiglia. Ho portato avanti con la Andiamo Avanti Productions i progetti riguardanti l’opera cinematografica di mio padre. La compagnia significava salvaguardare non solo il lavoro di coloro che ne fanno parte, ma anche quarant’anni di cultura teatrale; Luca aveva messo in scena le opere di suo padre e di altri autori, pensando anche a produzioni che potessero favorire i giovani.
Quali analogie e differenze c’erano nel rapporto tra Lei e Suo padre e tra Luca ed Eduardo?
Faccio mie le parole di Luca: il rapporto personale è stato quello che c’è tra padre e figlia o padre e figlio. Un amore profondo: in gioventù fatto anche di ribellione e discussione, come accade di solito; poi nella maturità sei sempre più orgoglioso di essere il figlio di una persona così straordinaria. Il rapporto artistico è un’altra cosa. Da Francesco Rosi c’era solo da imparare, così come Luca ha fatto con Eduardo. Io mi sforzo ogni giorno di avere i piedi per terra. Di essere concreta e umile come Luca, come mio padre ed Eduardo, facendo di tutto per onorarne la memoria nel rendere fruibile il loro patrimonio artistico.
Quali punti in comune potevano esserci secondo Lei tra l’opera di Suo padre e quella di Eduardo? Andando più nello specifico, la Napoli del malaffare raccontata da Suo padre poteva secondo Lei avere dei punti di raccordo con quella dell’arte di arrangiarsi che si specchia nel corpus teatrale di Eduardo?
Mio padre ha realizzato film che avevano come coprotagonista Napoli, ma anche titoli quali Salvatore Giuliano, Il caso Mattei, Carmen e La tregua. Eduardo ha dato voce a Sik-Sik e poi a Gennaro Jovine, ma anche a Geronta Sebezio de Il Contratto, Oreste Campese in L’Arte della commedia e Guglielmo Speranza in Gli esami non finiscono mai. Voglio dire che le opere di Francesco Rosi come quelle di Eduardo De Filippo sono sempre attuali e, travalicando lo spazio ed il tempo, si iscrivono in un orizzonte di idee universali che racconta un umanità sopraffatta dal potere di scelte che passano sulla sua testa. Napoli stessa diviene simbolo: parla al mondo, agli uomini e alla donne che, a volte, hanno paura di assumere responsabilità civili e morali.
Lei ha lavorato in alcune occasioni sia con Suo padre che con Luca: come si è trovata sotto la loro direzione, e quali analogie e differenze c’erano secondo Lei nel rispettivo modus operandi?
Parto dal presupposto che oggi mi sento bene in teatro: da quando Luca non c’è più ho cambiato voce e modo di recitare, come se mi fosse esploso dentro tutto quello che lui e mio padre mi hanno dato. Luca considerava Francesco un maestro. In lui aveva ritrovato una integrità, una forza intellettuale e morale che aveva riscontrato solo in Eduardo. Tutti e tre avevano quel rigore, quella serietà indispensabili per fare questo mestiere, il rispetto per chi lavora sul palcoscenico e dietro le quinte e per il pubblico che ti segue. E questo ho imparato da loro; ma mi hanno lasciato anche l’amore per la vita ed un senso dell’ironia colta ed intelligente che li accomunava.
Col nuovo millennio Suo padre è tornato dopo quarant’anni alla regia teatrale – una volta abbandonata definitivamente quella cinematografica – allestendo con la Sua collaborazione tre opere di Eduardo per la compagnia di Luca: cos’ha spinto Franco a questa scelta, e come vi siete trovati a lavorare tutti e tre insieme?
L’idea la ebbi io, Luca la appoggiò completamente. Mio padre ne fu felice. Per tutti mettere in scena Napoli milionaria!, Le voci di dentro e Filumena Marturano fu una meravigliosa avventura e una fatica non indifferente. Ricordo la vitalità di mio padre quando, durante le prove, mostrava all’attore come interpretare Zi’ Nicola che – rimasto solo in casa – scendeva dal suo mezzanino, metteva un disco di Django Reinhardt e ballava. Franco aveva una visione legata al cinema con la necessità di creare scenografie più realistiche che visualizzassero concretamente gli spazi o le parole. Alla fine fummo ripagati dal successo, dall’accoglienza del pubblico.
Quattro anni fa sono venuti a mancare sia Suo padre che Suo marito, oltre che Sua zia, la nota stilista Krizia: come ha vissuto queste grandissime perdite per la nostra cultura?
Come si vive la perdita della famiglia? Facendo in modo che il dolore profondo e il senso di smarrimento che avverti improvvisamente anche durante la giornata non prendano il sopravvento, soprattutto nei momenti in cui devi decidere e avresti bisogno di confrontarti, di sapere i loro pareri; ma poi comprendi che sono dentro di te. Certo mi manca la condivisione, la complicità che avevo con loro ma non sono sola: ci sono i figli di Luca, c’è il teatro che mi aiuta tantissimo, il rapporto con coloro che lavorano al mio fianco, con le persone che vengono a vedere lo spettacolo e poi mi salutano in camerino; il loro calore sincero è molto importante. Poi so esattamente come la pensava mio padre e come la pensava Luca: le mie scelte seguono le mie riflessioni e le loro.
Quali sono i Suoi progetti futuri per continuare a tutelare il ricordo di questi giganti del secolo scorso?
Tanti i progetti e tante le idee. Per quanto riguarda la Compagnia andrà avanti con altre commedie, dopo essere stati in scena nelle ultime tre stagioni teatrali con Questi fantasmi per la regia di Marco Tullio Giordana. La Elledieffe ha prodotto in questi anni spettacoli che hanno avuto un bel successo anche all’estero, tra i quali: Il Sindaco del rione Sanità con la regia di Mario Martone; Scannasurice con Imma Villa e la regia di Carlo Cerciello; Eduardo per i nuovi con Gianfelice Imparato e gli allievi della scuola del Teatro della Pergola di Firenze. Abbiamo realizzato una mostra monumentale a Castel dell’Ovo a Napoli che è rimasta aperta da fine ottobre a fine marzo scorso; la Fondazione – che oggi ha come nuovo presidente Tommaso De Filippo, secondogenito di Luca – continua a portare avanti progetti, dedicandosi anche ai ragazzi devianti, impegno fortemente sostenuto da Luca. Nel giro di pochi anni abbiamo riorganizzato gli archivi privati e le biblioteche di Eduardo, Luca e Franco. Abbiamo pubblicato due volumi: I 199 giorni del Che, diario che Franco scrisse durante il viaggio in America Latina e a Cuba dopo la morte di Ernesto “Che” Guevara, perché aveva in mente di realizzare un film sul potere; Mio caro Eduardo, che raccoglie la corrispondenza tra Eduardo De Filippo e Lucio Ridenti, direttore della rivista Il dramma, negli anni in cui le commedie iniziavano ad essere richieste anche all’estero. Alla Mostra del Cinema di Venezia ho da poco presentato fuori concorso Citizen Rosi, un documentario dedicato a mio padre e ai suoi film. Infine c’è anche da portare avanti la Scovaventi, l’azienda agricola che creammo Luca ed io quasi per scherzo e che oggi produce olio, miele e pelati. Insomma siamo una famiglia allargata e una equipe affiatata che funziona. Andiamo avanti, come era il motto di mio padre: consapevole che tutto questo lo faccio non solo nel pieno rispetto del lascito intellettuale e morale di questi grandi protagonisti della cultura, ma anche per me, perché mi piace e ci credo.