Claretta Carotenuto: “Mio padre Mario, dalle scene allo schermo”
a cura di Alessandro Ticozzi
L’attrice-regista romana ricorda sentitamente la figura umana e professionale del padre, tra i più celebri interpreti della commedia all’italiana e non solo…
Come visse Mario il suo apprendistato nell'avanspettacolo e nella rivista?
Come tutti gli attori della vecchia guardia che, finita la guerra, un po’ per talento e molto per fame, il lavoro lo trovavano per forza e apprendevano il mestiere da chi li precedeva e anche dal pubblico stesso, essendo degli artigiani dell'arte. Mio padre, in particolare, si può dire che il tirocinio lo fece sul fronte di guerra: raccontava sempre con orgoglio e divertimento, che lui, Sergente maggiore della quarta Artiglieria armata, si dilettava a raccontare barzellette ai commilitoni nei momenti di tregua e a intrattenere persino gli inglesi con numeretti comici quando ne fu prigioniero per tre anni a Pantelleria: gli piaceva farli ridere, anche per imbonirli.
Poi, finita la guerra e tornato a casa nel 1945, cominciò la professione vera: la radio fu il suo trampolino di lancio, prima Radio Firenze, poi Rosso e Nero. La radio a quei tempi era molto ascoltata e chi ci lavorava, diventava popolare: così Mario, che era dotato di una grossa carica di comunicativa, presto si fece apprezzare passando poi alla rivista, al varietà, al cinema, al teatro, insomma diventando un attore a tutto tondo.
Tuttavia la prima, primissima volta che papà mise piede in palcoscenico fu all'età di otto anni al teatro Costanzi, che sarebbe poi diventato il Teatro dell'Opera, nella compagnia di Ignazio Marescalchi, un collega e amico di mio nonno Raffaele (Nello Carotenuto, attore dell'avaguardia e stretto collaboratore di Anton Giulio Bragaglia), in un dramma su Maria Antonietta dove recitava la parte del Delfino, suo figlio.
Come approdò egli poi al teatro di prosa, laddove arrivò a lavorare con Strehler al Piccolo Teatro di Milano (L'opera da tre soldi di Brecht, 1956; I giganti della montagna di Pirandello, 1966), oltre che con altri registi importanti che lo diressero in allestimenti di Molière, Goldoni, Plauto e Tennessee Williams?
Quando approdò al teatro di prosa, Carotenuto era un attore già noto e richiesto: aveva partecipato a varie riviste, di cui 4 di grande successo (l’ultima, in ordine di tempo, Occhio per occhio, lente per lente, del 1954), a 22 film in ruoli rilevanti, con apprezzati registi come Lattuada, Bolognini, Monicelli, Risi, ed era popolarissimo per le trasmissioni alla radio. Per il programma Rosso e Nero nel ’51 vinse il Microfono d’argento.
Proprio negli anni Cinquanta suo fratello Memmo fu uno dei più apprezzati caratteristi comici della cinematografia nostrana: com’era il rapporto tra i due, che pure si trovarono a recitare insieme?
Mio zio Memmo, che era maggiore di mio padre di otto anni, fin da bambino seguiva nonno Raffaele e imparava il mestiere sul campo. Memmo aveva, però, cominciato facendo il truccatore in cinema e poi, grazie alla sua particolare maschera, alla inconfondibile vocalità e alle sue capacità attoriali bene incarnò, in ruoli di carattere, quella romanità popolare tipica di quegli anni. Mario rappresentava invece l'italiano medio borghese del dopoguerra, il commendatore. Insieme girarono solo sei film: non capitava che venissero chiamati sullo stesso set, evidentemente avevano caratteristiche, repertori e destini artistici diversi. In una bella intervista sulla Commedia italiana Marco Giusti spiega bene: "Mario é stato sempre il romano del dopoguerra in giacca e cravatta, il piccolo o piccolissimo borghese degli anni '50 e poi invece un borghese un po’ più ricco dopo gli anni del boom economico mentre Memmo, il fratello, rappresentava sempre il lato più popolare: il macellaio, il ladro, il lestofante. Mario era il fratello benestante, quello che abita nei quartieri più alti, o che si da un tono, quello fortunato, nato con la camicia, simpatico, accomodante e di una bravura pazzesca. Mario era come l'essenza della Commedia all'italiana tutta, da quella alta di Risi, Scola, Monicelli, Loy, fino a quella bassa dei film con Alvaro Vitali, Lino Banfi, la Fenech ed è come se fosse nato sul set: è stato subito lui, subito!".
Non crede che, rispetto al palcoscenico, il grande schermo diede forse a Mario non troppe opportunità di mettere in risalto le sue migliori capacità artistiche?
Non lo credo, no. Basta analizzare i centosessanta film che ha girato per toccare con mano quanto gli sia stato possibile spaziare nella tipologia dei personaggi che ha interpretato: un vero trionfo di versatilità, talento e divertimento anche per lui. A lui piaceva variare e credo che il Cinema in questo lo abbia veramente accontentato sin dalla prima Commedia all’italiana.
Come mai nell'ultimo decennio di vita, quando il cinema era diventato particolarmente avaro di occasioni, Mario tornò a dedicarsi prevalentemente ai grandi classici del teatro, pur se per lo più diretto da registi non di grido in produzioni non ricchissime?
Mio padre amava principalmente il Teatro e lo ha sempre affermato con fierezza finanche nelle ultime interviste in tarda età. Fu lui, a un certo punto della sua vicenda artistica, a volersi immergere nel Teatro mettendosi al centro di iniziative che gli permettessero di interpretare quei personaggi classici che non aveva ancora affrontato nello spettacolo dal vivo e che gli stavano a cuore: non fu il Cinema ad "accantonarlo", bensì i suoi interessi artistici a dare una svolta al suo percorso. Fatalmente poi, proprio in quel 1995 in cui scomparve, Ettore Scola lo volle nel suo Romanzo di un giovane povero nel ruolo del tipografo Pieralisi e fu quello il suo straordinario testamento di attore.
Cosa l’ha spinta a realizzare il documentario su Suo padre La maschera e il sorriso?
Il cuore, semplicemente: il mio amore di figlia, la mia franca ammirazione per l'attore ed anche il fatto che l'omaggio migliore che gli potessi fare in occasione del centenario dalla sua nascita era una "passeggiata" insieme a lui all'interno della Commedia all’italiana. Abbiamo molto amato la Commedia mio padre ed io, ne abbiamo tanto ragionato insieme e ci siamo fatti anche un sacco di risate. E così ho fatto, frutto della mia esperienza professionale nel campo specifico e della inesauribile raccolta di materiali di repertorio che ho collezionato nel corso dei miei lunghi anni di lavoro nella ricerca teatrale e cinematografica costruendo e "ri"costruendo La maschera e il sorriso: l'avventura artistica di Mario Carotenuto.
Cosa Le manca di più oggi di lui come padre e come attore?
Papà non mi è mai mancato né come padre né come attore: mi è sempre stato vicino, e oggi poi più che mai.