Come un uomo sulla terra

Come un uomo sulla terra

Dagmawi Yimer è etiope. Era uno studente di giurisprudenza ad Addis Abeba, quando decise di lasciare il suo Paese in seguito alle violenze con le quali furono sedate le proteste contro i brogli elettorali del 2005. Non poteva sapere ciò che lo attendeva, così come non lo sanno le migliaia di persone provenienti da tutta l’Africa che, ogni anno, tentano di raggiungere l’Italia attraverso la Libia. Dagmawi ha deciso, insieme ad Andrea Segre e Riccardo Biadene, di raccogliere le testimonianze di coloro che sono riusciti a giungere in Italia. Negga, Mimi, Seina e altri raccontano la loro storia, le violenze terribili a cui sono andati incontro nel loro disperato tentativo di lasciare l’Africa.
“Se avessi saputo che migrare era così terribile, avrei preferito la morte”. Questa una delle frasi lasciate su un muro da uno dei migliaia di migranti imprigionati all’interno del carcere di Khufra, al confine tra Libia e Sudan, nel quale i clandestini catturati vengono condotti per essere espulsi, o almeno questo è il motivo ufficiale. Ma la storia è molto più complessa. Ogni migrante paga una somma pari a 250 dollari per attraversare il Sahara fino ad Ajdabia, situata nel nord-est della Libia. Da qui, viene loro richiesta un’ulteriore somma in denaro per poter raggiungere Bengasi. Chi non dispone dei soldi viene sottoposto a violenze di ogni genere. Ma non basta.
I trafficanti spesso vendono uno su tre dei pick up sui quali viaggiano i “clandestini” alla polizia libica. Una volta catturati, uomini e donne vengono rinchiusi all’interno di un container e ricondotti, senza mai poter uscire, per 2000 km in mezzo al deserto, fino a Khufra. Qui vengono detenuti in condizioni disumane, sottoposti alle più crudeli torture, per un periodo indefinito, variabile tra alcuni mesi e interi anni. Chi sopravvive viene rivenduto, per 20 dinari, ai trafficanti, che lo riconducono, dietro richiesta di una somma pari a 400/500 €, verso Tripoli. Questa diatriba può ripetersi per svariate, infinite volte.
Crudi, strazianti, brutali i racconti dei più “fortunati”, ospitati in Italia dalla Onlus Asinitas di Roma, nell’attesa venga loro riconosciuto lo status di rifugiati.
Ma il documentario non si ferma alle testimonianze dei sopravvissuti. Tenta di guardare dentro alle vicende politiche e agli accordi segreti siglati, a partire dal 2003, tra Governo Berlusconi e Libia (ma ratificati anche dal governo Prodi nel 2007, con un finanziamento pari a 6 milioni di euro). Accordi che prevedono un aiuto finanziario al governo di Gheddafi al fine di “contrastare l’immigrazione clandestina”, questo il motivo dichiarato. Sembra, tuttavia, che l’Italia, oltre al denaro, fornisca alla Libia container (gli stessi all’interno dei quali vengono rinchiusi i migranti?), automobili, gommoni, addirittura sacchi per cadaveri. In cambio, come ha dichiarato in occasione della firma degli accordi il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, entusiasta, per l'Italia ci saranno più gas e più petrolio. Ma a quale prezzo? E a discapito di quante vite? E soprattutto: è lecito stilare accordi con un Paese che non rispetta i basilari diritti umani?
L'Unione Europea non sembra particolarmente influente per quanto riguarda la questione del trattamento dei migranti da parte delle autorità libiche. La Frontex, l'agenzia europea, con sede a Varsavia, che si occupa di coordinare le operazioni di cooperazione tra gli Stati Membri e Paesi esterni all'Unione, ha compiuto un'indagine sulla Libia nel 2007. A tutt'oggi non è stato preso alcun provvedimento.
Documentario lucido, straziante, devastante sul destino di persone, uomini sulla terra, appunto, che, nelle parole dei nostri politici non sono altro che numeri, percentuali. Per la seconda giornata dedicata al ciclo di proiezioni “Confini” organizzato dal Premio Ilaria Alpi, è aumentato il numero degli spettatori, tra i quali alcuni studenti delle scuole. Perché alla loro età si può ancora cambiare parere e non vedere gli immigrati come un pericolo, una minaccia, un numero, ma come persone, ognuno con la sua storia, ognuno con il suo passato, ognuno con il proprio Paese, che non avrebbe mai pensato di lasciare – come ci dice Yimer – se non costretto dalle circostanze.
Oltre a Dagmawi Yimer, era presente il giornalista Riccardo Staglianò, autore del libro “Grazie. Ecco perché senza gli immigrati saremmo perduti” che racconta una giornata di lavoro in Italia attraverso 24 esperienze di lavoratori stranieri.
Cosa accadrebbe se ognuno di loro, improvvisamente, si fermasse o sparisse nel nulla (come auspicato, ahimè, da uno dei principali partiti del nostro Governo)?

Festival Internazionale del Giornalismo 2010