Corrado Sfogli: “La storia ultracinquantennale della nuova compagnia di canto popolare, sempre volta ad una nuova sperimentazione”

Corrado Sfogli: “La storia ultracinquantennale della nuova compagnia di canto popolare, sempre volta ad una nuova sperimentazione”

 
a cura di Alessandro Ticozzi
 
 
 
Il chitarrista del celebre complesso musical-teatrale partenopeo ne rievoca appassionatamente le tappe artistiche salienti, con lo sguardo costantemente orientato a nuovi interessanti progetti.
 
Formatasi verso il 1967 per iniziativa di Eugenio Bennato e Carlo D'Angiò, la Nuova Compagnia di Canto Popolare si è dedicata dapprima all'esecuzione di canzoni anglo-americane, per poi volgersi alla riscoperta del canto popolare della Campania (fronne, tammurriate, serenate) e di generi polifonici rinascimentali (moresche, villanelle), collaborando con il compositore e musicologo Roberto De Simone: cosa vi ha spinti a fare queste progressive scelte artistiche?
 
La  direzione artistica venne presa sul finire degli anni sessanta da De Simone, che a poco a poco indirizzò il gruppo esclusivamente verso la musica popolare campana. Questo fu secondo noi il punto di svolta per il gruppo. Del resto De Simone aveva avuto sempre un occhio particolare verso il mondo popolare del Sud e le sue ricerche sull’espressività musicale e gestuale campane con l’antropologa Annabella Rossi (con la quale scrisse Carnevale si chiamava Vincenzo) ne sono un esempio…
 
Proprio da questa collaborazione nascono tra il 1972 e il 1976 numerosi dischi e la partecipazione ad allestimenti di grande successo di sue opere quali La Gatta Cenerentola e Cantata dei Pastori: quanto è stato importante per la Nuova Compagnia di Canto Popolare questo sodalizio con De Simone?
 
Quanto lo sono i sodalizi che poi portano al successo… Il peso di una collaborazione artistica non è mai solo da una parte… La fortuna ed il caso hanno voluto che un gruppo di artisti nel vero senso della parola si sia incontrato con un personaggio importante e sotto alcuni punti di vista geniale. Questo per dire che riteniamo che singolarmente l’uno senza l’altro probabilmente non avrebbe avuto quel successo che poi si è verificato…
Come hanno inciso le numerose trasformazioni che successivamente ha subito la vostra formazione sugli orientamenti musicali che vi avevano resi celebri?
Ci siamo dovuti adeguare di volta in volta. I gruppi soffrono tutti di abbandoni, trasformazioni e cambiamenti… Noi non abbiamo mai sostituito nessuno, ma al contrario abbiamo accolto nuove voci e volti cercando di portar fuori la loro artisticità… Nessun elemento nuovo ha mai cercato di imitare il suo predecessore: è avvenuto anzi esattamente il contrario, il nuovo ha portato nuove cose… Poi una linea guida musicale l’abbiamo sempre avuta, perché  dopo De Simone – e cioè dal 1978 – io e mia moglie Fausta Vetere siamo diventati i direttori musicali ed artistici del gruppo e dopo quarant’anni lo siamo ancora oggi…
 
Ciò nonostante, come siete riusciti a mantenere una linea musicale nelle vostre creazioni originali, collaborando inoltre con musicisti come Angelo Branduardi e Zulù delle 99 Posse?
 
Non adagiandoci  sui successi ottenuti, e sperimentando sempre cose nuove. La tradizione esiste anche per essere cambiata, e senza tradimento ciò non può avvenire. L’importanza della tradizione sta sopratutto  nel conoscerla a fondo per poterla anche cambiare. Oggi anche quella delle collaborazioni è diventata una moda più che uno scambio di arte, ed infatti se ne vedono sempre di meno… Quelle nostre con Zulù e Branduardi sono state però azzeccate: infatti sia l’uno che l’altro interpretando i brani che abbiamo scritto per loro, si sono sentiti a loro agio… Oggi se dovessimo scegliere una collaborazione artistica sceglieremmo un gruppo che ci piace molto, assolutamente sconosciuto qui da noi: i Kardes Turkuler. Hanno una forza incredibile soprattutto nell’uso delle percussioni. Oppure – andando in una direzione completamente diversa – con Bill Whelan, che rappresenta il punto più alto della musica celtica.
Che bilancio traete della vostra ultracinquantennale attività artistica?
Sicuramente positivo. Siamo uno dei pochi gruppi musicali italiani in continua evoluzione. Spesso ci dicono: “Sì, ma la Compagnia di una volta era forte”. Io rispondo loro se conoscono il lavoro che stiamo facendo e che abbiamo fatto fino ad oggi… La risposta è sempre: “No!!” Come puoi esprimere un giudizio su ciò che non conosci? Comunque la nostra esperienza di vita in questo gruppo è stata sicuramente eccezionale: abbiamo girato il mondo intero facendo un mestiere che consideriamo il più bello del mondo, e sempre con successi enormi.
 
Quali progetti avete in serbo per il futuro?
Come abbiamo detto precedentemente, siamo in continua evoluzione… Ogni tanto nel tuo percorso musicale fai salti in avanti e sperimenti nuove forme musicali… Adesso abbiamo fatto, al contrario di tutte le aspettative, un lavoro di ricerca. Abbiamo un CD di dodici villanelle cinquecentesche mai incise che deve solo essere pubblicato. Come si vede qualche volta si deve fare anche qualche passo indietro e riscoprire cose dal passato per un ritorno al futuro… Questo non è un discorso legato solo alla musica, ma rappresenta anche la parabola della vita, che ha molte facce e molte fasi. Basta saper cogliere le migliori…

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