Del perché tornerò a IJF20
di Veronica Miglio
Il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia è una meravigliosa opportunità non solo di incontrare giornalisti e personalità pubbliche personalmente apprezzate, ma anche di conoscere nuovi mondi e scoprire tante novità nel panorama dei media.
Ogni giornata, a IJF, è un nuovo mondo da esplorare: workshop e incontri di ogni genere si affacciano a noi. Certo, è difficile sceglierne uno quando ce ne sono tanti così interessanti nella medesima ora, ma per fortuna sul sito, a fine edizione, è possibile guardare i video delle conferenze a cui non abbiamo partecipato.
In questo report vi parlerò — in breve — degli incontri più significativi per me, che mi hanno lasciato qualcosa che vorrei trasmettere a voi.
Ho sempre desiderato partecipare a questo Festival, e ancora non mi sembra vero se penso al privilegio di aver ascoltato dal vivo una persona così umile e meravigliosa come Matthew Caruana Galizia, il figlio della famosa giornalista Maltese Daphne, uccisa nell’ottobre 2017 in un attentato a causa dei suoi reportage investigativi sulla corruzione che dominava (e ancora domina!) la piccola isola del Mediterraneo. Matthew ha vinto un Premio Pulitzer, portando avanti le indagini della madre. Durante la conferenza ha affermato: “È molto difficile combattere contro i governi, come dimostra anche il caso di Anna Politkovskaja. I giornalisti tendono a isolarsi, ma è importante che abbiano una vita familiare realizzata. Se il giornalista investigativo è bravo e collabora a livello globale, i governi lo attaccano puntando alle folle e ai social media. La guerra va combattuta contro i governi che violano i diritti umani per indebolire lo stato di diritto, le forze di polizia, la magistratura e chiunque pur di garantirsi l'impunità". Secondo Caruana, il primo passo da fare per un giornalista investigativo (o chi ha perso un famigliare che lo era) è chiedere aiuto al Consiglio Europeo per far avviare indagini su eventuali complicità dello stato in materia di corruzione. E’ anche utile rivolgersi allo UN Human Rights Council per approcciarsi direttamente con i Primi Ministri del loro Stato. ONG come Reporters Without Borders e Amnesty International, inoltre, sono di grande aiuto.
La frase più bella che Daphne ha lasciato ai suoi figli è: “Powerful people do not respect any kind of weakness”. La sua lotta per un mondo migliore ora è nelle nostre mani.
Anche Maria Ressa nel suo talk ha parlato della sua condizione di perseguitata. CEO e direttrice di Rappler, nominata da Time “Persona dell’anno 2018”, Maria ha indagato sul sistema di corruzione imperante delle Filippine, in particolare sugli abusi perpetuati dalla polizia e sulle uccisioni extragiudiziali. Arrestata e rilasciata su cauzione per ben due volte (l’ultima solo due venerdì fa!), non ha alcuna intenzione di fermare il suo lavoro: "Penso che sia un momento molto pericoloso per i giornalisti in molte parti del mondo e dobbiamo lottare con le unghie e con i denti per difendere la libertà di informazione".
Il giornalista Domenico Iannacone, che conduce il programma “I dieci comandamenti” ha invece commosso l’intera Sala dei Notari con i suoi video-reportage alle Vele di Scampia: un viaggio nella terra dei dimenticati, dei tossicodipendenti circondati da siringhe, solitudine, povertà. E poi c’è il sangue. Sangue che colora le pareti di stanze buie, ignote al mondo circostante.
Il giornalista racconta di come Giuseppe Marotta, autore del libro “Sfrattati”, lo ha fatto scendere nelle viscere di Milano. Nelle storie di quotidianità accantonate dentro a un mare di burocrazia. Racconti intimi in cui si sprofonda, in cui si vede il dolore sedimentato e silente di chi vive al limite della miseria e si è arreso, muto davanti alla cecità delle istituzioni. Un uomo apre la porta e gli dice: “Tu mi intervisti, ma poi io come risolvo i miei problemi?” e Domenico ribatte: “Bisogna provare. Sperare. Sennò che cosa ci rimane?”
Domenico mostra poi un altro frammento dei suoi tanti lavori, un miracolo accaduto proprio a Milano. Qualche mese fa ha intervistato un uomo sulla sessantina, che per una vita ha fatto il taxista. La moglie è invalida e la figlia disoccupata. Una famiglia sull’orlo dello sfratto e, manco a dirlo, nessun aiuto dalle istituzioni. Dopo aver visto il servizio in tv, Iannacone riceve una chiamata di prima mattina. Un uomo gli dice “Ho visto il suo servizio l’altra sera. Vorrei pagare il mutuo a quell’uomo. Quanti soldi gli servono?”. All’uomo servivano quindicimila euro, ma il misterioso donatore ne ha fatti arrivare di più. Non voleva solo salvare quella famiglia, ma anche proteggerla. Dargli di più, per avere una sicurezza.
Questo modo di fare giornalismo, Domenico lo chiama “Realtà Partecipante”: confondersi con la persona intervistata, per comprendere meglio che cosa accade. Un giornalista che rimane a distanza di sicurezza, dietro il velo dell’empatia, non può capire. “Bisogna sporcarsi le mani, per comprendere davvero.”
L’ultima storia è quella di una donna che 18 anni fa coltivava un sogno. Studiava al conservatorio ed era l’unica contrabassista. Suonare era tutto per lei. Poi rimase incinta. Il figlio, Giulio, è però affetto da una grave forma di autismo. Lei, ragazza madre, lascia tutto per stargli vicino e diventa bidella nella sua scuola, per stargli vicino. La musica finisce letteralmente in soffitta per anni, fin quando Iannacone le chiede di ascoltare insieme una registrazione dei tempi in cui lei era musicista. Dopo due giorni di freddezza, di mera cordialità tra due sconosciuti, la donna si apre. E si perde: “Non è possibile, questa non sono io. Non può essere.”
E come scriveva Pasolini: “Io muoio, ed anche questo mi nuoce”
Quindi, per tutti voi che amate il giornalismo, termino ricordando due cose: la prima è l’ultimo consiglio di Iannacone, ossia “andate a vedere ciò che non si vede”. L’ultima è: andate al prossimo Festival del Giornalismo e lasciate che la vostra mente si apra a tutto ciò che prima non conoscevate!
See you at the next IJF!