Diritti umani e ONG: cosa accade nei nostri mari

Diritti umani e ONG: cosa accade nei nostri mari

di Lucia Teresa Fontana e Marco Piscedda
 
 
Anche in questa edizione del Festival Internazionale del Giornalismo si è parlato di una delle piaghe che più affliggono la nostra società e i nostri tempi: i flussi migratori. Ad avercene parlato è stato Corrado Formigli, conduttore di Presa Diretta su La7 e Oscar Camps, Open Arms, i quali hanno cercato di dare una versione dei fatti il più tangibile possibile. 
La riflessione iniziale del dibattito è partita da una foto che ebbe un effetto sociale di forte impatto, si tratta infatti della foto di Aylan Kurdy, il bambino trovato morto sulla spiaggia dopo un naufragio che fece il giro del mondo. Lo stesso Formigli ammette che questa fu una foto che smosse le coscienze, a maggior ragione se facciamo mente locale del periodo in cui il naufragio avvenne (erano i giorni in cui si alzarono fili spinati e muri in gran parte dell’Est Europa e in Austria). 
Allora perché oggi sembra quasi che la popolazione europea si sia assuefatta a determinati casi? Perché non ci mobilitiamo alla vista di quello che sta accadendo, ormai da anni, nei nostri mari? 
A tali quesiti Oscar Camps ha dato risposte ben precise, come solo un uomo che è stato in mare ed ha visto quelle persone pronte a morire, può dare: “la responsabilità è della politica, fatta di uomini mediocri, e dei mass media, i quali non hanno mai percepito il rischio degli effetti sociali nel pubblicare titoli e articoli scandalistici, che non hanno fatto altro che mettere in cattiva luce quella povera gente disperata ”. 
Il dibattito è sceso anche nel profondo della questione libica: “La libia non può essere considerata uno Stato, dal momento che non ha un’ esercito riconosciuto, una forza parlamentare, una marina militare e un ordine giuridico, non dobbiamo dimenticare che in Libia esiste lo schiavismo, esistono carceri private in cui le donne vengono stuprate e costrette a prostituirsi, mentre gli uomini vengono torturati e costretti a lavorare in condizioni disumane. É solo entrando in quest’ottica che si può capire quanto siano inutili i patti o gli accordi che gli stati europei cercano di prendere con il governo libico” afferma Camps.
Ad entrare nel vivo della questione libica è stato lo stesso Formigli il quale, nel suo programma settimanale, ormai da anni dedica sempre uno spazio al problema dell’immigrazione: “Ogni porto deve essere considerato sicuro affinché si possano portare avanti azioni di messa in sicurezza, così come devono essere considerate valide le misure di sicurezza per salvare i naufraghi in mare. Tutto ciò in Libia non esiste, dal momento che l’unica organizzazione internazionale responsabile dei salvataggi in mare (IMO)è stata riconosciuta attraverso un’autocertificazione del governo libico, nella totale assenza di controllo da parte di altri Paesi o organizzazioni internazionali”.
Ed è proprio qui che nasce il problema perché, come afferma anche Camps, per via delle condizioni che regnano in Libia, chiudere i porti e respingere quella gente disperata, significa metterli in mano della morte.
Quindi, alla domanda di Formigli: “qual’è il ruolo delle ONG?”, Camps risponde: “cercare di salvare più vite umane possibili, cercare di contrastare le politiche europee e non permettere che questescendono a patti con milizie armate, come quelle libiche, pur di far diminuire gli sbarchi, cercare di aumentare l’empatia nelle persone e la sensibilità, perché sono le poche armi che ci sono rimaste per contrastare dinamiche simili, che non tengono in alcun modo in considerazione la vita umana”.
"I naufraghi in mare sono stati così numerosi in questi anni tanto che non se ne può dare un numero orientativo, i paesi europei si ritrovano nell’assurda condizione di dover ritrattare con la Libia e la Turchia per evitare che i flussi migratori aumentino e l’Italia continua a mantenere i porti chiusi in un clima che ogni giorno diventa più razzista e xenofobico. È per questo motivo che risulta necessario un certo recupero empatico, così come risulta necessaria una certa sensibilità e una conoscenza oggettiva della realtà dei fatti, altrimenti la distanza tra noi e ‘l’altro’ non farà altro che aumentare”.
Un’ora e mezza è un tempo troppo breve per poter affrontare tutti i problemi appartenenti a questa tematica: condizioni sociali, politiche, culturali ed economiche giocano tutte un ruolo fondamentale in questa dinamica che non tiene conto della vita e della dignità umana.
 
Non ci resta altro che riflettere sui nostri tempi, tenendo in considerazione anche gli eventi del passato, affinché si possa verificare un autentico risveglio di coscienze, l’unico capace di fronteggiare la disumanità in cui, e attraverso la quale, si sta sviluppando il nostro periodo storico.

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