Emanuela Moschin: “Ho riunito la mia famiglia grazie al teatro, il vero amore di papà Gastone”
di Alessandro Ticozzi
A due anni dalla scomparsa, la figlia del celebre attore veronese ricorda alcuni aspetti primari della sua carriera tra lo schermo – grande o piccolo che sia – e il palcoscenico: la passione più autentica.
Una volta divenuto popolare in televisione (I miserabili, 1964) e al cinema (La visita, 1963; Signore e signori, 1966; Il conformista, 1969; Amici miei, 1975), cos’ha spinto Gastone a dedicarsi in prevalenza al teatro, prima con lo Stabile di Torino (Zio Vanja, di Čechov, 1977; I giganti della montagna, di Pirandello, 1979) e in seguito con una propria compagnia, presentando tra l'altro Sior Todaro Brontolon di Goldoni (1983), Uno sguardo dal ponte (1984) ed Erano tutti miei figli (1989) di Miller, Il gabbiano di Čechov (1990)?
Pur avendo interpretato più di cento film e numerosi sceneggiati televisivi, il suo grande amore è sempre stato il teatro: dopo aver lavorato con gli stabili di Torino e Genova, egli tuttavia ha avuto una propria compagnia unicamente come capocomico, ma sempre prodotto da altri impresari quali Mario Chiocchio e Massimo Chiesa.
Nel 1992, dopo aver recitato nel film di Sergio Staino Non chiamarmi Omar, cosa stimolò Gastone a proporre in scena per la prima volta l'opera di Ugo Betti Delitto dell’isola delle caprein qualità di regista e interprete?
Semplicemente perché, dopo quell’intermezzo cinematografico, a lui piacque talmente tanto quella pièceche decise di firmarne anche la regia.
Con Tredici a tavola di Mark Gilbert Sauvajon, nel 1993 Gastone portò in scena anche la moglie Marzia Ubaldi insieme a te, la loro figlia: come hai vissuto l’esperienza di recitare con i tuoi genitori?
Invero era già un decennio che calcavo i palcoscenici al fianco di mio padre, dopodiché – nelle ultime stagioni – si è aggiunta anche mia madre: fui io ad insistere per riunire la famiglia in scena, essendo loro due separati da molti anni. Nello specifico, scegliemmo tale testo dovendo passare da un dramma a una commedia e affidandone la regia a Marco Parodi: fu il nostro ultimo spettacolo interpretato insieme, in quanto proprio durante quella tournéepapà ebbe un infarto e venne quindi sostituito da Gianfranco D’Angelo.
Nel 1997 Gastone interpretò il film Porzûs, mentre nel 2000 esordì nelle serie televisive Don Matteo e Sei forte maestro: come affrontò tuo padre questi ultimi impegni artistici?
Non volendo più fare il teatro perché – dopo aver avuto quell’infarto – non si sentiva sicuro e gli era anche andata via un po’ di memoria, accettò di interpretare Porzûs in quanto gli era piaciuto il copione e recitava accanto ad un amico come Gabriele Ferzetti, oltretutto potendo aiutare un giovane regista semiesordiente qual’era all’epoca Renzo Martinelli. Per lo stesso motivo decise di partecipare a quelle due fiction, venendo per di più girate vicino a casa sua a Narni: la prima a Gubbio e la seconda a Terni.
A due anni dalla scomparsa, cosa ti manca di più di Gastone come padre e come attore?
Di lui come attore non mi manca niente, perché – conoscendone completamente a memoria ogni sfumatura recitativa – quando leggo qualcosa me la immagino declamata con la sua voce, le sue intonazioni, le sue pause e i suoi toni: di mio padre invece mi manca proprio tutto, perché io ho sempre vissuto con lui da quando i miei genitori si separarono che io avevo sette anni. Quindi con papà c’era un rapporto superspeciale, e non ho ancora ben realizzato che non c’è più.