Erika Blanc: “Il mio Alberto Lionello, tanto versatile sulle scene quanto malinconico nel privato”

Erika Blanc: “Il mio Alberto Lionello, tanto versatile sulle scene quanto malinconico nel privato”

a cura di Alessandro Ticozzi
 
L’attrice gardesana ricorda i passaggi salienti della carriera artistica del celebre collega milanese, suo compagno di vita e di ribalta: ma anche l’incredibile sensibilità umana che lo caratterizzava intimamente.
 
 
Sulle scene dal 1949 (esordì con Gandusio), Alberto si è rivelato come attore comico (La pulce nell'orecchio, di Feydeau, nel 1951) e si è poi imposto in numerose e impegnative interpretazioni (Ciascuno a suo modo, di Pirandello; Il diavolo e il buon Dio, di Sartre; I due gemelli veneziani, di Goldoni; La coscienza di Zeno, di Svevo-Kezich; Adriano VII, di Peter Luke): come avvenne tale passaggio?
 
Inizialmente Alberto era stato preso nella compagnia di Gandusio perché – avendo il papà sarto – possedeva tutto il guardaroba che serviva ad un attore per recitare in tantissime commedie, a seconda dei personaggi che poteva ricoprire: ciò era addirittura più importante di come sapesse recitare. Stando sempre dietro le quinte, ha imparato molto da Gandusio: tuttavia nel prosieguo ha costantemente sentito il bisogno di mettersi alla prova, da cui la sua estrema facilità nel passare da Feydeau a Sartre.
 
 
Cos’ha spinto Alberto a lavorare anche nella rivista (da Made in Italy, 1953, con Wanda Osiris, a Ciao Rudy, 1972), per la televisione e per il cinema (Signore e signori, 1966, di Pietro Germi)?
 
Alberto ha fatto la rivista nel periodo in cui doveva guadagnare: anche se poi è arrivato a sostituire Mastroianni in Ciao Rudy, rispetto al quale affermava sempre che nel canto riusciva ad andare più alto di tono. In televisione ha partecipato a vari show e sceneggiati, ma come Puccini ha davvero superato sé stesso: non c’è stato nessuno così grande ad interpretarlo, né prima né dopo di lui. Il cinema invece era la sua rabbia; si rammaricava continuamente che non lo chiamassero, ed io gli dicevo: “Alberto, non hai la faccia cinematografica”. Tuttavia la sua presenza spiccava in certi film, anzitutto Signore e signori: quella volta Germi voleva affidargli il ruolo che poi è andato al collega di scena Gastone Moschin proprio su suo suggerimento, prendendosi quindi quello brillante più adatto a lui. Sul set si è trovato benissimo: Germi gli faceva fare lunghe corse per riprenderlo di nuca, ma Alberto riusciva a farsi filmare in volto girandosi di scatto nel fingere di salutare alcuni amici di passaggio.
 
 
Cos’ha invogliato Alberto a mettersi dal 1973 alla testa di una propria compagnia, alternando testi di impegno (Il piacere dell'onestà, di Pirandello; Tramonto, di Simoni; Il mercante di Venezia, di Shakespeare) ad altri del repertorio “leggero” (L'anitra all'arancia, di Sauvajon; Il nuovo testamento, di Guitry; Divorziamo, di Sardou, ecc.)?
 
L’incontro con Lucio Ardenzi: infatti è stato quasi sempre lui il produttore di tutti questi spettacoli. Fu un unione che ci portò al successo in tutta Italia: io ho iniziato a far coppia con Alberto nel Piacere dell’onestà; dopodiché a volte avevo un ruolo grande e a volte uno piccolo, ma sempre significativo. C’era comunque un po’ di rivalità artistica tra noi, però devo dire che ho imparato molto da lui: pur avendo precedentemente lavorato con Strehler e Squarzina, Alberto è stato colui che mi ha veramente formata al meglio in questa professione.
 
 
A oltre un quarto di secolo dalla scomparsa, cosa Le manca maggiormente di Alberto come uomo e come attore?
 
Quella tenerezza che lo rendeva totalmente diverso dalla propria immagine pubblica: io lo vedevo piangere quando guardava i film romantici alla televisione. Era di una sensibilità incredibile; una volta m’ha scritto in una lettera: “Io ti guardavo dormire: vorrei riuscire ad amarti totalmente, ma non posso”. Lui per la prima volta ha detto che mi amava in questa lettera: non l’ha mai fatto a parole, come stranamente del resto non l’ho fatto neppure io. A casa era sempre abbastanza ansioso, però – quando gli partiva la battuta – mi divertiva molto: e poi lo amavo, dài! Adesso lo posso dire! Oltretutto in scena risultava un uomo estremamente affascinante, tant’è vero che scherzando gli dicevo: “Se tu fossi stato l’impiegato delle poste, non ti avrei notato e non mi sarei innamorata di te”. Del resto era amatissimo dalle donne anche per le sue insicurezze…
 

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