Federico Ruffo: la mia inchiesta come ispirazione per i giornalisti di domani

Federico Ruffo: la mia inchiesta come ispirazione per i giornalisti di domani

di Nicolas Maranca
 
Al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, il secondo giorno di eventi è stato quello che ha portato nella città umbra la vicenda delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel mondo del calcio. A parlarne, in una Sala dei Notari stracolma, Amalia De Simone di “Corriere.it”, Ivan Zazzaroni, direttore del “Corriere dello Sport”, Federico Ruffo, giornalista Rai che ha portato avanti un’inchiesta in materia, e Sigfrido Ranucci, giornalista di Report in collegamento via Skype. Particolarmente toccante si è rivelato il racconto dello stesso Ruffo. Dopo aver trattato del rapporto tra la criminalità organizzata ed una parte della tifoseria della Juventus, il giornalista ha visto completamente mutare gli scenari della sua vita, professionale e privata. Continui messaggi minatori sui social, ma anche attentati che sono stati al centro della cronaca nazionale. Dopo la sua testimonianza, Ruffo si è intrattenuto ai microfoni di RadUni in una breve ma significativa intervista.
Federico Ruffo è sicuramente uno dei giornalisti più noti negli ultimi anni. Cosa ha significato raccontare nuovamente questa storia, ma stavolta di fronte ad una sala colma soprattutto di giovani? I ragazzi hanno sempre degli occhi più curiosi ed affamati dei nostri. Lo dico da tempo, le generazioni successive alla mia sono migliori, sono più curiose e strutturate, oltre che preparate. I giovani hanno, nei confronti del giornalismo, un rispetto che noi abbiamo fatto perdere ed è sempre meglio parlare a loro. Lo si percepisce dal parlato, dagli atteggiamenti, dall’interesse. Questa, per me, è una storia che, se potessi, lascerei indietro velocemente perché ha segnato un momento complicato. A fine giornata, però, analizzo il tutto con me stesso e so di essere davvero contento di quello che ho fatto e so di dover veicolare questo messaggio. Trovarsi qui mi riappacifica con il lavoro e col mondo, perché è un mestiere che richiede sacrifici in ogni ambito. Vedere questa platea mi mette in pace con me stesso e mi ricorda che ciò che ho fatto, per quanto difficile, può essere di ispirazione per altri. Un domani può esserci un Federico Ruffo più strutturato e preparato che può far meglio questo lavoro rispetto a ciò che è stato fatto. Quel giorno, magari, quel ragazzo ricorderà quando ha partecipato a quest’incontro.
Com’è cambiata la sua visione delle cose nel mondo del calcio e dei tifosi dopo quest’inchiesta? La mia visione dei tifosi non è mutata. Ciò che è cambiata è la visione dei meccanismi che proteggono il mondo del calcio, cioè la stampa di settore, la stampa amica, la difficoltà tra colleghi di fare scudo. Ho capito quanto si possa essere effettivamente soli in questi casi. Dopo che qualcuno prova a darti fuoco a casa, ti ritrovi a fare scudo con te stesso e solo con quelle persone su cui hai sempre contato, vero, ma non con quelle persone che operano nel tuo stesso ambito. Ho visto con i miei occhi che il giornalismo può essere più mercato di quel che potessi pensare.
Perché quest’inchiesta? Come l’ha vissuta da tifoso? Questo mestiere o lo si fa così o non lo si fa, almeno dal mio modo di vedere le cose. Quando fiuti una storia è bello, la senti tua e non puoi tirarti indietro perché c’è qualcosa da raccontare. In un angolo dove nessuno aveva guardato, ho trovato una storia enorme. Mentre tutti pensavano all’inchiesta “Alto Piemonte”, era scomparso uno dei protagonisti (Raffaello Bucci, ndr) e lì c’era la storia, un racconto ricco di perché rimasti senza risposta. Da tifoso l’ho vissuta malissimo, non tanto per il prima ed il durante, ma per il dopo. Questo lavoro non ti fa preoccupare mai della tua fede sportiva, come di quella politica. Poi, però, c’è da raccontare la conseguenza di quel che ho trattato. Io non ho ancora visto Cristiano Ronaldo giocare più di 5 minuti con la maglia della Juventus perché non riesco a guardare le partite. Ciò è un prezzo che può apparire relativo, ma io ho sempre vissuto il calcio in un certo modo, facendolo mio, vedendolo da tifoso. Questo sport ha sempre rappresentato una parte importante della mia vita. Ora, quando i miei amici mi chiedono di assistere insieme ad una partita in un pub, arrivo sempre dopo. So che tutto questo passerà, spero di poter rivedere intere partite un giorno. In questo momento è difficile pensare che la passione sportiva di una vita venga messa in dubbio. Difficile pensare a juventini che mettono in dubbio la mia fede dicendo che è tutta una invenzione. Questo Paese ha memoria corta per alcune cose, per questa ce l’ha un po’ più lunga, ma sono certo che passerà.

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