Franco Giraldi: “La mia opera anomala, influenzata dall’amata Trieste”

Franco Giraldi: “La mia opera anomala, influenzata dall’amata Trieste”

a cura di Alessandro Ticozzi
 
Il grande regista tratteggia brevemente alcune caratteristiche peculiari dei suoi lavori più personali, fortemente orientati dalle proprie origini carsiche.
 
Dopo essere stato assistente di Giuseppe De Santis, Lei ha esordito sotto pseudonimo nel western all'italiana, passando poi alla commedia di costume con La bambolona (1968) e Cuori solitari (1970): come ricorda questi Suoi inizi?
I western erano giocattoli che facevo per divertirmi, mentre La bambolona era già un film di maggior contenuto: tuttavia quelli più stimolanti li ho girati più tardi.
 
Lei ha infatti raggiunto la piena maturità professionale solo con i film realizzati per la televisione, spesso tratti da opere di scrittori triestini e di atmosfera mitteleuropea: La rosa rossa (1972); Il lungo viaggio (1975), da Dostoevskij; Un anno di scuola (1977); Mio figlio non sa leggere (1984), dall'omonimo romanzo di Ugo Pirro; Nessuno torna indietro (1987); Quattro storie di donne: Luisa (1988); Danubio (1991). Quanto c’è del Suo vissuto e della Sua cultura in questi lavori?
Pur essendo figlio di barcolani, sono nato a Comeno in quanto mia madre – che faceva la maestra – andava lì a riposarsi d’estate. Io ho frequentato molto il Carso: tra l’altro da bambino scendevo spesso con lei in ferrovia da Štanjel a Trieste per fare provviste. Dunque ne ho un bel ricordo, anche se – sotto la guerra – vivevamo chiaramente tempi tremendi. Successivamente mi sono appunto reso conto che – quanto mi riferivo al mio passato – tanto più ciò che realizzavo era attendibile, e pertanto lo facevo molto volentieri.
 
Cosa L’ha spinta nel 1996 a presentare alla Mostra del Cinema di Venezia un film ambientato durante la Prima Guerra Mondiale, La frontiera?
Il narrare una storia che mi corrispondeva: in esso sono molto sincero. È l’ultimo che ritengo essermi venuto discretamente, lasciandomi alfine soddisfatto.
 
Come valuta invece le Sue ultime produzioni televisive, L'avvocato Porta (1997) e Pepe Carvalho (1999)?
Erano prodotti tanto per campare che ho girato con la mano sinistra.
 
Che bilancio trae della Sua vita privata e professionale?
Il discorso sarebbe piuttosto lungo: in complesso non mi lamento. Ho attraversato momenti belli e brutti, ma ho trascorso un esistenza interessante e ricca di spunti originali.
 
Ha qualche progetto per il futuro?
 
No, adesso penso davvero di meritare un po’ di sano riposo…

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