Gabriella Farinon: “Il mio Disco per l’Estate accanto ai moschettieri TV”

Gabriella Farinon: “Il mio Disco per l’Estate accanto ai moschettieri TV”

di Alessandro Ticozzi
 
La nota presentatrice televisiva ricorda le sue numerose conduzioni della manifestazione canora estiva al fianco dei celebri “moschettieri” del piccolo schermo: Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Corrado ed Enzo Tortora. Con i brevi interventi di Antonello Falqui (che ebbe l’idea di riunirli assieme alla conduttrice Mina nel numero che li consacrò alla trasmissione da lui diretta Sabato sera) e Gianni Nazzaro (vincitore di due edizioni della “storica”kermesse).

 
 
 
Lei ha co-condotto nove delle dodici edizioni che compongono il primo “storico” ciclo di Un Disco per l’Estate: ricorda come nacque tale manifestazione canora e quali meccanismi ne determinarono il format originario?
La RAI dell’epoca era molto attenta a quello che avveniva: questoformatnacque per dare agli utenti sia della radio che della televisione una sorta di Festival di Sanremo estivo. Già a inizio primavera partivano le trasmissioni radiofoniche che proponevano una cinquantina di nuove canzoni interpretate dai cantanti italiani più importanti del momento: tra queste le giurie ne dovevano scegliere ventiquattro, che sarebbero poi state le finaliste per il programma televisivo che aveva luogo a metà giugno al Casinò di Saint-Vincent.
Sempre sull’onda del boom del mercato discografico estivo, nello stesso 1964 per iniziativa del Patron Vittorio Salvetti nacque pure il Festivalbar: c’era concorrenza a Suo avviso tra le due kermesse?
Allora non credo, per lo meno televisivamente parlando: era peraltro un modo in più di far conoscere i cantanti, dal momento che non c’erano tutte le varie trasmissioni nate negli anni a seguire.
Cosa La spinse ad accettare di prendere il timone di Un Disco per l’Estate alla sua quarta edizione?
Lo considerai in fondo un riconoscimento alla mia professionalità da parte della RAI: io avevo già lasciato il lavoro fisso ed ero ormai una libera professionista. Era una trasmissione che poteva attrarre una giovane conduttrice: quindi accettai tale proposta con vero piacere.
Quali ricordi La legano maggiormente alle edizioni che Lei ne condusse?
Alcune radiofoniche le conducemmo in giro per l’Italia con Arbore e Boncompagni: dato il carattere dei due, fu un gran divertimento. L’ultima del ’75 fu poi vinta da Amore grande amore libero, un motivo strumentale eseguito con il moog da Federico Monti Arduini, ovvero Il Guardiano del Faro: in tale occasione m’incuriosì appunto il fatto che non trionfò una canzone bensì un pezzo che sembrava quasi un brano di musica classica. Inoltre alle serate televisive a Saint-Vincent venivano ospiti quali la Carrà, Paolo Panelli e Bice Valori: sono ormai passati cinquant’anni, ma tutti i cantanti che ancora oggi sono noti hanno partecipato a Un Disco per l’Estate.
Tra questi sicuramente Gianni Nazzaro, che – con le sue due vittorie quasi consecutive alla manifestazione canora (nel 1972 con Quanto è bella lei e nel 1974 con Questo sì che è amore) – così Le fa eco:“Era una kermesse fantastica che mi ricorda un periodo professionalmente molto felice della mia carriera, in quanto – cosa non sempre facile – sono riuscito a portare al successo tali canzoni: ho goduto molto di quel momento, come del resto qualsiasi altro artista avrebbe fatto al mio posto”. Eppure come mai secondo Lei – nonostante cercarono di rilanciare il marchio per oltre un quarto di secolo – dopo la metà degli anni Settanta tale evento non suscitò più reale interesse, al contrario degli spazi crescenti che ebbe invece il Festivalbar?
Probabilmente per distrazione di qualche direttore della televisione: quando debuttai nel 1961, io questa l’ho fatta con grandi professionisti. Man mano che passavano gli anni, la politica invece entrò un po’ troppo: conseguentemente pure l’attenzione alla qualità cominciò forse a mancare.
Dopo la soppressione anche del Festivalbar, a distanza di qualche anno iniziarono a fiorire nuove manifestazioni canore che prendevano spunto da tale format, tuttavia non riuscendo nessuna di queste a prenderne davvero il posto: per questo sono tutte in competizione tra loro per ottenere quel marchio dal renitente Andrea Salvetti allo scopo di rimettere in piedi il Festivalbar. In questa rincorsa a Suo giudizio potrebbe oggi davvero rinascere il Festivalbar, o anche Un Disco per l’Estate?
Quando la gente si stancherà di tutti questi format presenti su ogni canale – ed essendoci molto scoop e attenzione quando Techetecheté trasmette quei minuti di televisione del passato – è probabile che possa rinascere pure Un Disco per l’Estate, sia pur rivisto e corretto: era infatti l’abbinamento radio-televisione a renderlo un format interessante, anche se ormai le case discografiche pare non esistano più.
Alla Sua prima edizione di Un Disco per l’Estate Lei affiancò Enzo Tortora, in un'altra Mike Bongiorno, in due Pippo Baudo e in cinque Corrado: i cosiddetti “moschettieri” della televisione italiana, allora consacrati da un celebre sketchda loro eseguito insieme a Mina a Sabato sera, la trasmissione da lei condotta con la regia di Antonello Falqui. Rammenta quest’ultimo: “L’idea venne in mente a me nel corso di una riunione con gli autori: proposi infatti di far svolgere questa specie di giochetto ai quattro presentatori, spingendoli al contempo a marcare ciascuno una propria caratteristica peculiare; li abbiamo riuniti in quel numero proprio perché erano diversi tra loro. Ho lavorato con Mike in Arrivi e partenze: era la mia prima trasmissione televisiva, ma anche la sua qui in Italia. Ero molto amico di Tortora, ma non abbiamo mai lavorato insieme: la stessa cosa vale anche per Baudo e Corrado, pur avendoli avuti diverse volte come ospiti nei miei programmi”. E Lei invece che ricordo serba di ciascuno di loro?
Baudo fu il grande amico che mi coinvolse nello spettacolo, dal momento che abbiamo condotto insieme per anni non solo Un Disco per l’Estate, ma anche altre trasmissioni. Provenendo dall’America, Mike era invece colui che conosceva meglio il mezzo televisivo e sapeva come catturare l’ascoltatore: un gran signore assai preciso, oltre che molto attento a dare spazio alla persona che lo affiancava. Corrado era il professionista autoironico e divertente: sapeva metterti a tuo agio, ma farti anche degli scherzi in maniera comunque sia davvero carina. Infine Tortora era un intellettuale sofisticato, forse il più colto di tutti: lo ricordo ancora con emozione, anche se mi è difficile parlarne perché segnato da un ingiustizia vergognosa che fu costretto a subire. Li ricordo tutti con grande piacere e riconoscenza: personalità sicuramente diverse l’una dall’altra, tuttavia accomunate da una profonda conoscenza del teleschermo.
Lei affiancò sia Mike che Corrado pure alla conduzione del Festival di Sanremo: come affrontò un impegno professionale così prestigioso, ma anche oneroso?
Nel ’73 lo condussi per due sere da sola e unicamente quella finale insieme a Mike, dal momento che era ancora impegnato con Rischiatutto. Con Corrado invece l’anno successivo feci la mia ultima esperienza a Sanremo, presentando insieme tutte e tre le serate: dopo avere appunto condotto varie edizioni di Un Disco per l’Estate e altre trasmissioni, già ci conoscevamo e questo semplificò parecchio l’atmosfera, essendo lui oltretutto un compagno di conduzione straordinario. Con quella del ’69 insieme a Nuccio Costa, credo di essere l’unica donna che ha presentato tre edizioni del Festival di Sanremo.
L’ormai ultraottantenne Baudo è rimasto l’unico sopravvissuto del quartetto: dopo svariati anni in cui lamentava mancanza di spazi affidatigli nella televisione odierna, è alfine tornato alla conduzione prima di Domenica In e poi di Sanremo Giovani, sino a quella dello show-evento autocelebrativo Buon compleanno… Pippo. Quale personale contributo pensa possa ulteriormente offrire ad un piccolo schermo così mutato da tempo?
Quando Baudo cammina per strada, io credo che la gente tuttora lo fermi: pur rivolgendoci ad un pubblico se non altro di mezz’età – ma essendo lui sempre in piena forma salutare –, sicuramente ha ancora delle idee che la televisione può sfruttare. Conosce infatti il piccolo schermo in tutte le sue sfaccettature: questo continua a renderlo certamente un porto sicuro.
Lei invece come valuta l’attuale proposta televisiva, e quali insegnamenti crede vi possiate lasciare?
Anche se – soprattutto per la parte giornalistica – talvolta la tradisco con La7, io rimango un affezionata RAI: dopo essersi messa in competizione con alcune trasmissioni dove emergeva una fastidiosa volgarità, da qualche anno è in parte ritornata al buonsenso. Alla guida non deve infatti mai mancare un rispetto del telespettatore che la direzione deve riportare a tutti quelli che appaiono in video: siccome viviamo in un mondo frettolosamente cambiato in maniera finanche violenta, è bene che la televisione non perda quella parte educativa e didattica che aveva all’inizio. Tutti coloro che vagliano devono essere consapevoli che in fondo c’è sempre una grossa responsabilità personale di quello che si dice e si fa, e anche di come lo si fa. Questa è la televisione che spero venga seguita nel prossimo futuro, pur essendoci ormai troppi canali: del resto penso che i giovani non la vedano neanche più, dal momento che gli iPad e tutto quello che gira in rete la stanno sostituendo.

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