Gino Fortunato: “Il mito dell'inarrivabile Fred Buscaglione vive in eterno”

Gino Fortunato: “Il mito dell'inarrivabile Fred Buscaglione vive in eterno”

a cura di Alessandro Ticozzi
 
 
Il giornalista musicale – che vent’anni fa pubblicò il saggio A qualcuno piace Fred? – rievoca la figura del grande cantautore torinese a sessant’anni dalla tragica dipartita.
 
 
 
Diplomatosi presso il Conservatorio Giuseppe Verdi della sua città natale, Fred si avvicinò sin da adolescente alla musica jazz suonando il contrabbasso in vari locali: da cosa furono segnati questi suoi inizi?
 
Intanto occorre precisare che Buscaglione non si è mai diplomato al Conservatorio. Da quanto mi risulti, in base e soprattutto dalle indicazioni fornitemi al tempo in cui scrissi A qualcuno piace Fred? dai suoi più stretti collaboratori, Buscaglione frequentò non più di due anni al Conservatorio (quindi non tre come riportano alcune fonti). Era certamente uno spirito libero, ben lontano quindi dagli schemi didattici classici e fin da bambino fu attratto dalla musica e dagli strumenti che suonava in maniera disinvolta e con buona padronanza, principalmente da autodidatta. Sapeva trarre armonie da pianoforte, violino (suo strumento principale), tromba ma anche da strumenti a corda come il contrabbasso che poi divenne lo strumento del fratello Umberto. Fu il contatto con gli americani durante la Seconda Guerra Mondiale ad avvicinarlo al jazz ma fondamentalmente è stato determinante l’incontro con Leo Chiosso e ancor prima con i fratelli Franco e Berto Pisano, sempre al tempo degli “alleati”. I contatti con questi artisti furono basilari per la costruzione del musicista Buscaglione, mentre quello con Chiosso, che non era musicista ma paroliere, fu fondamentale per il “Buscaglione-personaggio”. Quindi, semplificando, gli inizi furono molto importanti per l’imprinting swing.
 
 
Negli anni Quaranta iniziò la sua collaborazione con il paroliere Leo Chiosso: quanto fu determinante questa per la creazione del personaggio caricaturale e paradossale di “duro” americano che lo rese celebre?
 
Come ho detto fu fondamentale questo incontro. Chiamai spesso casa Chiosso al tempo di A qualcuno piace Fred? e quasi sempre la telefonata era filtrata dalla moglie che aveva un atteggiamento ultra protettivo. O forse Chiosso ne aveva abbastanza dei giornalisti. Di certo non era così ben vista e simpatica agli occhi degli amici di Fred, come del resto non era neppure la moglie di Buscaglione, Fatima. Forse perché talvolta le donne si sostituiscono al loro partner, credendo di interpretarne ogni volontà. Un giorno la moglie di Chiosso mi disse: “Se non fosse stato per Leo, Buscaglione non sarebbe mai esistito”. Diciamo che tutto sommato non era assai distante dalla verità. Chiosso era un genio, ma non “l’onnipotente e vicino a Dio” (Dino Arrigotti, pianista degli Asternovas, docet) come sembrava voler far credere sua moglie. Esagerava certamente la gentile signora Chiosso, quando mi raccontò un aneddoto secondo il quale Umberto Smaila, che stava lavorando su un musical su Buscaglione, telefonò a Chiosso chiedendogli di scrivere una canzone. Dopo aver fatto un po’ il prezioso, Chiosso richiamò dopo meno di un’ora Smaila, presentandogli il testo di una canzone che se ricordo bene si intitolava Ciao Fred, sostenendo di averla appena scritta. Smaila era al settimo cielo e gridò ovviamente al genio. Molto verosimilmente, Chiosso aveva quella canzone già pronta nel cassetto da chissà quanto tempo e la tirò fuori al momento più opportuno. Questo nulla toglie ai grandi meriti di Leo Chiosso, paroliere e artista eccezionale forse paragonabile a Mogol.
 
 
La sua carriera fu breve a causa di un prematuro incidente automobilistico: cos’avrebbe potuto darci ancora Fred a Suo avviso se non fosse perito così tragicamente?
 
Non molto più di quanto ci ha dato. Che non è stato certamente poco. Fred è vissuto nel momento giusto al posto giusto. Morire all’alba degli anni ’60 fu un’uscita di scena in grande stile, proprio quando il clima generale, politico, sociale e artistico stava mutando radicalmente e non solo nel nostro Paese. Difficile immaginare la sopravvivenza del “Duro dal whisky facile”, quando, dopo Presley, Chuck Berry, Little Richard & co., stava nascendo il grande Rock, dei Beatles, dei Rolling Stones e di mille altri gruppi. Anche la canzone in Italia si stava radicalmente trasformandosi in quegli anni. Ci si avvicinava a grandi passi alla canzone d’autore e di protesta che certamente non avrebbe lasciato scampo al filone di Buscaglione che ha funzionato in meno di tre anni, sostenuto da bulli, sigarette, pugni e pupe. E soprattutto di swing, stile Chicago. Persino il jazz – che agli inizi degli anni ’60 stava vivendo una trasformazione mostruosa a cominciare dal free, dopo una lunga rivoluzione moderna tra be bop, cool  e hard bop – non lo avrebbe seguito. E d’altronde lo stesso Buscaglione dichiarò solo tre settimane prima di morire su Stampa Sera che si sarebbe ritirato al massimo nel giro di due anni: “Prima che il pubblico mi volti le spalle”. Era evidentemente molto attento a quanto gli accadeva attorno per aver perfettamente afferrato l’antifona.
 
 
Pensando ai suoi grandi successi quali Che bambola!, Eri piccola e Guarda che luna, quale fu secondo Lei la costante della poetica musicale di Fred?
 
Sicuramente le anticipazioni di qualche decennio musicale che si traducono in: “novità assoluta”. Buscaglione è stato più di un semplice interprete di un filone. Perché non riconoscere, ascoltando Che bambola, Eri piccola o anche Che notte, le prime avvisaglie del rap? I suoi passaggi cinematografici, completamente scollati dalle trame, potrebbero essere considerati addirittura i primi videoclip della storia. Almeno per l’Italia. Per questo ritengo Buscaglione un rivoluzionario. Inoltre sapeva stemperare le eleganti irruenze ante rap con le melodie struggenti di brani come Guarda che luna, Love in Portofino o Non partir. In questi casi Fred non era proprio un rivoluzionario, ma sicuramente l’approccio melodico calzava a pennello con il personaggio, contribuendo alla sua definizione totale.
 
 
Alla fine degli anni Cinquanta cosa portò Fred ad avvicinarsi anche al cinema interpretando – tra gli altri titoli – Poveri milionari di Dino Risi?
 
L’unico film da attribuire a Buscaglione, sia come attore che come musicista, fu Noi duri, in cui recitò nientemeno che con il grande Totò senza sfigurare affatto. Qui abbiamo assaporato la vera essenza del fenomeno Buscaglione che – per ironia della sorte, o meglio: della disgrazia – non vide il montaggio finale. Le altre furono comparsate, apparizioni, flash. Alla fine degli anni ’50 Fred Buscaglione era l’artista più richiesto d’Italia, anche per le pubblicità televisive. Quindi la sua presenza nei film d’intrattenimento era considerata dai produttori motivo di attrattiva per il pubblico. Non veniva certo scelto per  ipotetiche qualità recitative, anche se su Noi duri era talmente bene calato nel personaggio da rendere inimitabile l’interpretazione. Per me, che amo Buscaglione alla follia, Noi duri è una pellicola meravigliosa. Per quanto riguarda Poveri milionari – piuttosto che Noi siamo due evasi, I ladri e pochi altri ancora, peraltro tutti girati nel giro di un anno – si è trattato solo di semplici, pur splendidi, camei.
 
 
A sessant’anni dalla sua improvvisa scomparsa, cosa rimane a Suo giudizio di Fred come uomo e come cantautore?
 
L’unicità. Il genio Buscaglione-Chiosso ha segnato un passo determinante nella canzone italiana che si differenzia da ogni altro artista. Fred Buscaglione è stato imitato e lo è ancora sotto ogni salsa. Ma i suoi epigoni sono solo grottesche caricature. Un genio senza eredi né proseliti.

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