Giunio Lavizzari Cuneo: “Gilberto Govi, il più importante esponente del teatro genovese”
a cura di Alessandro Ticozzi
L’operatore culturale genovese racconta dettagliatamente i passaggi principali della carriera del suo illustre concittadino e l’intenso rapporto che ebbe con la moglie Rina, non mancando alfine di ricordare il costante impegno per serbarne l’eredità artistica grazie all’associazione intitolata ai due coniugi di cui è presidente.
Gilberto dedicò tutta la vita all'affermazione del teatro dialettale genovese – di cui è stato senz’alcun dubbio l'esponente più valido – a capo di una propria compagnia e con un repertorio che fu scritto su misura per lui (I Gustavin e i Passalaegna, di Emanuele Canesi; Pignasecca e Pignaverde, di Emerico Valentinetti; Sotto a chi tocca, di Gigi Orengo; Colpi di timone, di Enzo La Rosa), salvo rare eccezioni (I manezzi pe' majâ 'na figgia, di Niccolò Bacigalupo): come riuscì ad adattare questi copioni alla propria “maschera” così ben definita sulle scene?
Govi è unanimemente considerato il “fondatore” del teatro genovese anche perché al suo esordio il repertorio era assai scarso, composto unicamente da qualche testo “minore” e dalle commedie di Bacigalupo. Fu solo grazie a lui che il teatro genovese assurse a dignità nazionale e fu solo grazie a lui che il teatro genovese si arricchì di tantissimi copioni di cui lo stesso Govi ne recitò circa 100. Di tutti ne divenne coautore e ne scrisse integralmente uno solo: O giorno da primma comeniun. Sin dagli esordi fu lui a cercare testi scritti in italiano o in altri dialetti che potessero adattarsi ad una comicità “ligure”, che fossero confacenti alla sua “maschera” e alle sue caratteristiche sceniche. Agli autori chiedeva di poter rimaneggiare il testo a suo piacimento e di tradurlo in genovese con risultati straordinari. In effetti tutte le commedie recitate da Govi possiedono una “impronta” inconfondibile e mettono in risalto le sue indubbie capacità di conoscitore e di costruttore della comicità e della risata. Ovviamente con l’accrescere della sua popolarità furono gli stessi autori a cercarlo e a proporgli nuovi copioni e nuove idee cosicché il repertorio crebbe e si consolidò. La grande capacità di Govi nel creare testi di grande successo fu senza dubbio coadiuvata da due doti naturali: lo spirito di osservazione e di immediata analisi che gli consentivano di traslare situazioni e personaggi dalla realtà quotidiana al manoscritto che da artificio letterario diventava specchio, a volte anche deformante, del vissuto. Ecco perché il pubblico si ritrovava e si riconosceva (come ancor oggi si ritrova e si riconosce) nella commedia del repertorio goviano, in una comicità senza tempo, ma dal sapore tipicamente genovese come il pesto, la focaccia e la farinata.
Cosa portò a Suo avviso una figura vernacolare come quella di Gilberto ad un successo che si estese ad ogni parte d'Italia, ingigantito oltretutto da un ciclo televisivo iniziato nel 1955?
Per rispondere al quesito vorrei anzitutto citare un brano della biografia di Govi scritta da Enrico Bassano. Lo scrittore narra che una sera d’agosto sul finire degli anni ’50 si trovava a Barrea, un paese arroccato al margine del Parco Nazionale d’Abruzzo. Alla televisione trasmettevano una commedia di Govi e l’unico televisore di tutto il paese si trovava nel bar che era stipato all’inverosimile. Accanto a Bassano si sedette un pastore reso inconfondibile non soltanto dalle cioce e dal cappellaccio, ma soprattutto “dal fetore: come al centro di un branco di pecore e al chiuso”. La narrazione prosegue semplicemente, ma efficacemente: “Con gli occhi cisposi spalancati, la bocca sdentata semiaperta, le mani terrose serrate sulle ginocchia, l’uomo non fece più un gesto, né un movimento; era impietrito. Rideva sodo. Rideva com’uno che non ha mai riso, e pensammo che forse era quella la prima volta che la creatura rideva. Gli chiedemmo, in un intervallo: Ma cosa hai capito? E lui, giustamente risentito, ma pronto e sicuro: tutto. Disse proprio così: tutto. Aveva capito tutto di un personaggio, di un fatto, di una lingua forse mai udita. E noi l’avremmo abbracciato, ser non fosse stato per il fetore…”
Non c’è, quindi, nessun “segreto” che consentì a Govi di divenire tanto popolare in tutta Italia e che la televisione consacrò definitivamente ad un pubblico molto più vasto. Nonostante il ridottissimo numero di televisori che in allora erano installati, la media dei telespettatori per ogni commedia si aggirava sui 10/12 milioni, un dato impressionante. Govi sapeva “parlare” al suo pubblico al di là della semplice espressione labiale, comunicava con i gesti, i silenzi, la mimica e il suo stesso corpo che sembrava poter adattare ad ogni personaggio e ad ogni situazione. In sintesi, non è assolutamente importante la “lingua” che Govi utilizzava, sarebbe stato altrettanto grande e avrebbe avuto la stessa fama se si fosse espresso in qualsiasi altro idioma, ma è grazie a lui che il “genovese” non è più una lingua ostica al resto d’Italia.
Gilberto prese parte anche a quattro film, il primo dei quali fu proprio la trasposizione cinematografica di Colpi di timone (1942): come visse da uomo di teatro il suo rapporto con il grande schermo?
Sin dal 1930, dopo il primo ciclo di recite a Roma, Govi fu avvicinato da produttori e registi cinematografici e qualche anno dopo ad uno spettacolo assistette persino il grande regista Rouben Mamoulian, autore tra l’altro, del celeberrimo Il dottor Jekyll. Il giudizio del maestro fu lapidario: “Quando si è di fronte ad un attore che si esprime con la maschera, con le mani, con le gambe, con le spalle, prima ancora che con la parola, lo si porta davanti alla macchina da presa per girare il film. E basta.” In realtà il primo approccio avvenne appunto nel 1942 e, come scriveva Mario Verdone, studioso di cinema e critico sensibile e padre del celebre Carlo, “Ci vollero sei anni per constatare quanto il categorico giudizio di Rouben Mamoulian fosse esatto”. Tuttavia l’esordio cinematografico non fu completamente soddisfacente per lo stesso Govi. L’attore e il cinema non si capirono mai veramente: il linguaggio che ognuno di loro parlava era troppo diverso per intendersi. Il cinema procurò a Govi una grande amarezza: nel 1952, dopo l’uscita del terzo film, Il diavolo in convento, decise persino di ritirarsi dalle scene e successivamente chiese al suo biografo Enrico Bassano di eliminare dalla sua filmografia il quarto ed ultimo film da lui interpretato ovvero Lui, lei e il nonno. Govi diceva che il cinema gli aveva giocato un brutto tiro e che gli aveva fatto fare la figura di quell’ingenuo che si fa imbrogliare al gioco delle tre tavolette… Quali furono le cause di questa incomprensione? La superficialità di certe sceneggiature? L’improvvisazione di alcune organizzazioni cinematografiche? La sua impreparazione nell’affrontare la macchina da presa? Le difficoltà derivate dal recitare senza pubblico, con continue interruzioni e cambiamenti di scena? La fretta imposta dalla produzione? Non possiamo dirlo con certezza e forse furono tutte concause, ma il risultato fu al di sotto delle aspettative. In realtà la critica, sebbene fosse estremamente negativa sul risultato complessivo dei film, non fu altrettanto severa nei confronti di Govi, ma ciò non mitigò la sua delusione.
Quanto fu importante secondo Lei per Gilberto la moglie Rina Gaioni, che ebbe sempre al fianco come primattrice?
Il ruolo di Rina fu sempre determinante nella vita di Govi, non solamente per quanto attiene la sfera del “privato”, ma anche per quanto riguarda la sua attività artistica. Si conobbero sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Genova dove Rina recitava testi drammatici con successo e Govi interpretava già alcuni dei suoi famosi personaggi comici. Non recitavano quindi assieme, ma fu amore a prima vista e iniziarono anche il sodalizio artistico che imporrà a Rina l’abbandono delle sue aspirazioni per convertirsi ai ruoli brillanti. Si sposarono nel settembre del 1917 e da allora nulla li separerà sino al 1966, anno della scomparsa di Govi. All’epoca delle nozze Govi era impiegato alla Officine Elettriche Genovesi con un buon stipendio e l’attività artistica era relegata nel tempo libero, ma molte erano le sollecitazioni perché l’attore decidesse di dedicarsi all’arte a tempo pieno. La decisione di fare il grande salto dal teatro amatoriale a quello professionista non fu facile perché, nonostante i crescenti successi e la critica sempre favorevole, non era semplice abbandonare un impiego sicuro e che garantiva un buon stipendio per l’incertezza e l’alea delle scene. Rina non fu estranea alla decisione e seppe contemperare le esigenze domestiche con quelle artistiche, seppe incoraggiare e sostenere il marito in quella che fu una storica decisione e seppe anteporre l’amore al calcolo. Il 31 dicembre del 1923 Govi si licenzia dall’impiego e quella data segna l’inizio ufficiale del teatro genovese, ma non quella della fine dell’importante ruolo di Rina. Se inizialmente ricoprirà i ruoli di attrice giovane propria della sua età, progressivamente interpreterà ruoli più impegnativi di caratterista e comprimaria sino alla grandissima interpretazione dei Manezzi che tutti ben conosciamo. Il ruolo artistico di Rina fu quindi importantissimo per Govi che sapeva di poter contare su una eccezionale attrice al suo fianco che sapeva cogliere ogni suo spunto comico e d era in grado di rispondere con altrettanta spontaneità ed efficacia. Altrettanto importante fu, tuttavia, il ruolo di moglie che ricoprì Rina perché assicurò al marito anche quella tranquillità necessaria ad impegnarsi totalmente nel suo ruolo di attore. Credo sia giusto affermare che probabilmente Gilberto senza Rina al suo fianco non sarebbe diventato il Govi che tutti conosciamo e ricordiamo.
Lei è Presidente dell’Associazione Culturale intitolata ai coniugi Govi: quali sono le attività che svolgete per serbarne la memoria?
Il mio rapporto con Govi è anzitutto un rapporto affettivo. Nel 1974 conobbi e divenni amico di Rina: ero un giovane attore esordiente che ebbe il privilegio di avere tra gli spettatori in platea proprio la moglie di Govi che, al termine dello spettacolo, venne in camerino a congratularsi con noi assieme a Luigi Dameri, storica “spalla” del grande attore. Mi rivolsi a Rina dicendole “La ringrazio Signora per le gentili parole…”, ma mi interruppe rispondendo “No, tra colleghi ci si da del tu!”. Fu un’emozione grandissima e da allora frequentai per dieci anni casa Govi diventando amico di Rina. Ogni settimana passavo un pomeriggio intero con Lei, ascoltavo il racconto della sua vita e di quella di Gilberto (che lei sempre chiamava Govi) e avevo anche modo di conoscere i suoi amici e conoscenti. Fu proprio in occasione di quei pomeriggi trascorsi assieme che conobbi e poi diventai amico di Serena Bassano, figlia del commediografo, critico e scrittore Enrico Bassano. Nel 1984, alla scomparsa di Rina, Serena ed io decidemmo di costituire l’Associazione Culturale Gilberto e Rina Govi per conservare la memoria umana e artistica dei coniugi. Immediatamente realizzammo una mostra fotografica che fu ospitata in numerosissime città italiane con grande successo, curammo la diffusione dei copioni e partecipammo ad ogni evento dedicato al ricordo di Govi incoraggiando anche le numerose compagnie teatrali a riscoprire e portare in scena tutti i testi da lui recitati nella sua lunga e fortunata carriera. L’impegno maggiore fu, tuttavia, quello di aiutare Rina Govi nella postuma realizzazione del suo desiderio, ovvero quello di creare uno spazio espositivo aperto al pubblico dove fossero collocati i ricordi della vita e dell’arte di Govi che lei aveva donato al Comune di Genova. Nel 1985 la perseveranza di Serena Bassano riuscì a convincere il Sindaco Cerofolini a concedere provvisoriamente uno spazio all’uopo dedicato nel Civico Museo di Sant’Agostino scongiurando così il pericolo che tutto il patrimonio del lascito fosse chiuso in qualche cassa dimenticata nei fondi di un deposito comunale. Durante il periodo della “provvisoria collocazione” al Museo di Sant’Agostino curammo l’apertura al pubblico dello spazio dedicato a Govi, organizzammo visite guidate e, dopo la scomparsa di Serena Bassano, continuai l’opera di conservazione museale sino al 2016, anno in cui il lascito fu finalmente trasferito nella prestigiosa sede del Museo Biblioteca dell’Attore che si trova accanto alla Biblioteca Berio in Via del Seminario a Genova. Da allora lo spazio espositivo è permanentemente aperto al pubblico grazie alla preziosa opera dei colleghi del Museo Biblioteca dell’Attore, ma continuo ad accompagnare gruppi di appassionati che desiderano approfondire la conoscenza di Govi. L’Associazione Gilberto e Rina Govi prosegue inoltre la propria attività organizzando ogni anno un “Corso gratuito di teatro in genovese” al Teatro Verdi di Genova con la direzione artistica di Riccardo Canepa, realizza seminari, conferenze e incontri sulla tematica teatrale e del retaggio culturale e artistico di Govi e ha ridato vita, con i propri iscritti, alla storica Compagnia Teatrale Gilberto Govi che e porta in scena ogni anno nuove commedie del repertorio goviano. Ancor oggi è vivo in tutta Italia il ricordo di Govi ed è frequente che ci pervengano richiesta di compagnie che vogliono recitare e magari tradurre nel loro dialetto un testo del grande attore genovese. L’Associazione cura l’invio del copione, assiste la compagnia nell’opera di traduzione, agevola la concessione delle necessarie autorizzazioni da parte degli eredi ed infine assiste alla rappresentazione: è il caso di una compagnia di Moena che ogni anno mette in scena una commedia goviana tradotta in ladino senza assolutamente stravolgerne il testo ed il suo spirito, ma contribuendo in maniera concreta e significativa al ricordo ed alla valorizzazione dell’eredità dei coniugi Govi.
A oltre cinquant’anni dalla scomparsa, cosa rimane secondo Lei di Gilberto come uomo e come attore?
Rina Govi, nel corso di una intervista televisiva, disse che nel passato l’attore teatrale scriveva sulla sabbia poiché quando scompariva nulla restava di lui, della sua grandezza, della sua arte se non un ricordo affidato alla memoria dei suoi spettatori che, inevitabilmente e progressivamente, scomparivano anch’essi. Govi ebbe la grande fortuna di essere uno dei primi attori ad incontrare la televisione e ciò ci consente ancor oggi di poter comprendere, almeno in parte, le sue capacità attoriali e di poter apprezzare la sua vis comica.
Le giovani generazioni possono avvicinarsi all’esperienza goviana e apprezzarne il valore, ma soprattutto contribuiscono a tener vivo il ricordo ed il mito di Govi che ancor oggi è vivissimo anche se, a volte, non lo percepiamo appieno. Ogni giorno le nostre chiacchierate sono infarcite di citazioni e motti goviani che hanno anche largamente contribuito alla sopravvivenza stessa della lingua genovese. L’uomo e l’attore Govi sono ancor oggi vivi anche in molti comici che lo hanno scelto come maestro e fonte d’ispirazione. La lista sarebbe lunga e inevitabilmente incompleta, basti pensare che non solo alcuni “mostri sacri” della comicità come Alberto Sordi, Gino Bramieri e Walter Chiari hanno recitato con lui e da lui hanno imparato moltissimo, ma che tantissimi attori drammatici riconoscono in Govi un indiscusso maestro. Govi fu un grandissimo attore italiano che recitava in genovese e non già un attore dialettale di fama nazionale ed è questa la ragione del suo immenso lascito artistico che ancor oggi si incarna nelle giovani generazioni di attori e di comici.