I cambiamenti climatici sono inevitabili, spetta all'uomo adattarsi
Secondo uno studio condotto dall’Ipcc, l’organismo Onu che studia i cambiamenti climatici, il clima cambia e continuerà a cambiare nei prossimi anni. Ma se verranno portate avanti politiche rigorose di riduzione delle emissioni di gas serra i danni del riscaldamento globale potranno essere controllati e contenuti.
In molti paesi ci si è messi già a lavoro: Olanda e Gran Bretagna stanno rafforzando gli argini dei loro fiumi per resistere a piene più violente e si stanno adeguando sbarramenti nelle zone costiere per contrastare gli effetti dell’innalzamento del livello del mare. In Africa si sta tentando la riconversione dell’agricoltura a colture più resistenti alla siccità, la Cina sta creando delle barriere forestali contro la desertificazione. Insomma più o meno tutti si stanno dando da fare per arginare gli effetti di cambiamenti climatici ormai inevitabili. Solo l’Italia se ne sta ancora con le mani in mano e, non possiamo aspettarci nulla di buono nel futuro. Soprattutto perché, secondo quanto afferma l’Ipcc, i cambiamenti climatici sono inevitabili, dunque toccherà all’uomo adattarsi alle nuove condizioni ambientali. Le parole d’ordine saranno dunque mitigazione e adattamento, ovvero come chiarisce l’Ipcc, “aggiustamenti nei sistemi ecologici, sociali ed economici in risposta a stimoli climatici attuali o previsti”.
Ovviamente l’innalzamento del livello del mare, la siccità, improvvise gelate o maremoti avranno serie ricadute sui settori economici dell’umanità, agricoltura, turismo e industria in primis. Secondo l’uscente Commissario all’Ambiente dell’Unione Europea Stavros Dimas, è quindi essenziale iniziare a collaborare con i governi, le imprese e le Comunità per sviluppare una strategia di adattamento complessiva.
L’Unione Europea non vuole farsi trovare impreparata, la Commissione ha già invitato a prendere provvedimenti e a preparare piani d’azione nazionali. Ma, tutti concordano, la prossima mossa è creare dei piani d’azione più localizzabili, che comprendano zone geografiche ristrette, al massimo di 30 km quadrati, così da poter supporre con maggiore precisione cosa potrebbe accadere e quando, e pianificare sin da subito investimenti per l’adattamento.
Dunque tutti le nazioni sono già a lavoro, la Gran Bretagna in prima fila con impressionanti somme stanziate per rafforzare gli argini del Tamigi, ma si stanno muovendo anche i paesi del Terzo Mondo, dal Bangladesh allo Zambia. L’Italia, tra i paesi più vulnerabili, è ancora molto indietro rispetto ai pericoli che corre, tra coste a rischio erosione, dissesto idrogeologico e desertificazione. La nostra mappa del rischio, spiega Francesco Bosello del Centro Euromediterraneo per i cambiamenti climatici, non è stata adeguatamente aggiornata con le proiezioni delle pressioni dovute dal riscaldamento globale, così come manca una corretta organizzazione del managment. Dunque, a quanto pare, l’Italia sembra essere il fanalino di coda nella corsa alla prevenzione.