Il problema dei giovani italiani NON è la chiusura delle discoteche

Il problema dei giovani italiani NON è la chiusura delle discoteche

Quando sui media italiani si parla di giovani si fa sempre una gran confusione e la regola non poteva che confermarsi nell’era del Covid-19.
 
Se dovessimo convertire le ‘notizie’ uscite negli ultimi tempi sulle testate italiane in una breve timeline leggeremmo questo:

-       Fine lockdown, i giovani escono e fanno assembramenti

-       Vacanze, i giovani vanno all’estero e tornano con il virus

-       Vacanze parte 2, i giovani vanno a ballare e aumentano i contagi

-       Chiusura delle discoteche decisa dal governo, fine delle vacanze, i giovani protestano, nessuno pensa a loro
 
Il grande problema di quest’era di semplificazione mediatica, dove nel tritacarne delle notizie si finisce sempre tutti contro tutti, è che nessuno ha ancora ben capito che è impossibile includere sotto una semplice etichetta la più eterogenea e complicata generazione che abbia mai messo piede su questo pianeta.
Far passare la chiusura delle discoteche come il più grande dramma che ha colpito negli ultimi tempi gli under 30 italiani è una manovra pericolosa e potrebbe avere effetti indesiderati nei prossimi mesi.
 
Il problema è un altro ed è a conoscenza di tutti. I numeri che mettono in correlazione i ragazzi italiani e il mondo della scuola e del lavoro li conosciamo bene ormai, ma è bene ripeterli per riportare l’attenzione sul nocciolo della questione (dati Eurostat):

-       Tasso più alto di NEET (giovani che non studiano e non lavorano) in Europa: il 22% degli uomini e il 33% delle donne

-       Tasso di abbandono scolastico del 14%

-       Penultimo posto per numero di laureati in Europa: 26%

-       320.000 emigrati under 34 negli ultimi 10 anni
 
Una situazione del genere delinea un disagio economico e sociale che cozza con i discorsi che abbiamo sentito negli ultimi giorni. Le immagini che sono arrivate dalle discoteche sono state veramente fuori luogo considerando il momento storico che stiamo vivendo. Ma quelli che abbiamo visto inondare Instagram di stories, rilasciando dichiarazioni ai giornalisti assiepati fuori i luoghi della ‘movida’ e che sono sembrati noncuranti del rischio che stavano correndo, NON sono la maggioranza di giovani, sono solo i più rumorosi.
 
Tutti gli altri che invece hanno continuato a vivere in un contesto apocalittico riguardo alle possibilità di un’affermazione sul mondo del lavoro sempre più difficile non li abbiamo sentiti. E forse è di loro che dovremmo parlare.
 
Elisa, 19 anni, ha risposto ad alcune nostre domande:
 

-     Ti sei sentita ‘attaccata’ dalla chiusura delle discoteche?
Non in particolar modo, per il semplice fatto che in generale non ne frequento, quindi difficilmente ne potrei sentire la "mancanza". Più che altro trovo che la tempistica sia sbagliata, dal momento che con Ferragosto è passato il periodo di maggior affollamento giovanile, anche se capisco che in realtà sia stato un compromesso tra il bisogno sanitario di chiudere e quello economico di non far saltare completamente la stagione ai proprietari dei locali, decisione che non condivido, ma non mi sento nemmeno di giudicare eccessivamente.
 
Come pensi che i media rappresentino i giovani?
I media rappresentano i giovani come li vedono. Il problema a mio parere non deriva dal modo di rappresentarci, ma da chi lo fa: nel momento in cui "i media" identificano un gruppo di persone di una fascia di età che non tocca mai direttamente quella giovanile, è inevitabile che i comportamenti, gli ideali e le scelte in generale non siano comprese da chi ne deve parlare e di conseguenza ne esca una visione distorta di quella che è la realtà.
Io personalmente lo vedo infinite volte quando mi trovo davanti servizi di telegiornali (quindi indirizzati ad un vastissimo pubblico) che cercano di parlare delle piattaforme che per noi sono luoghi di lavoro veri e propri, ma che appunto vengono denigrati per il semplice fatto di non riuscire a comprenderne la natura. Il problema, in definitiva, è quello che c'è sempre stato: la vecchia generazione che non capisce la nuova, ma pretende di poterne decidere e, in questo caso, parlarne.
 
Qual è un problema per cui i giovani dovrebbero incazzarsi nel 2020?
Nel 2020 ci sono un'infinità di motivi per cui i giovani si dovrebbero incazzare, a partire dal i temi che ho sollevato prima, fino alla discriminazione di genere, colore, sessualità e chi più ne ha più ne metta. Un libro non basterebbe per discuterle tutte. Sono problemi che in realtà non sono circoscritti a questo anno, quindi la mia risposta è valida per un "2020" inteso come periodo storico (nonostante con i recenti problemi relativi al movimento "black lives matter" alcuni dei problemi sopracitati siano considerabili attuali).
Nello specifico di questo anno mi viene spontaneo parlare della pandemia e delle decisioni che sono state prese di conseguenza: secondo me è stato dato poco spazio sia ai suggerimenti che ai problemi relativi ai giovani sull'intero piano nazionale. Quando si è parlato di lavoro, per esempio, non è stata in alcun modo tutelata la fascia giovanile che avrebbe dovuto immettersi nel flusso lavorativo quest'anno e che per ovvie ragioni non potrà farlo. Allo stesso modo in quanto universitaria trovo che si sia data un'importanza vitale e a mio parere eccessiva alle modalità di esami e di riapertura delle scuole primarie e secondarie, ma poi ci sia stato un interesse quasi nullo per noi.
 
A cura di Antonio di Caprio
 
 
 

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