“Incominçarò questa opera de mio intellecto”: l'istruzione femminile nel Medioevo.
“Incominçarò questa opera de mio intellecto” è l’incipit del Memoriale del monastero delle Clarisse di Santa Maria di Monteluce, scritto a partire dal 1488 da suor Battista Alfani, e preso in prestito (non a caso) come titolo dell’evento - promosso da Solis Festival ed organizzato dall' Udu - di giovedì 23 novembre per trattare il tema dell’istruzione femminile nel medioevo. L’incontro, condotto dalla professoressa di storia medievale Stefania Zucchini con l'introduzione di Vittoria Lattanzi (rappresentante della Sinistra universitaria) all'evento, si è svolto sottolineando come per le donne sia stato un percorso ostico avere accesso allo studio, a partire dall’antichità.
Si pensi che, fin dall’età romana, rimangono poche tracce di donne che si avvicinarono alla lettura e tutte in contesti privati.
In età altomedievale, vi è la testimonianza di figure di monache copiste, ovvero dedite alla mansione di copiatura di testi antichi all’interno delle biblioteche dei monasteri: ad oggi, se ne contano solamente 25 attestate in 10 codici. Più avanti (XI secolo), sarà da menzionare la figura della monaca tedesca Ildegarda di Bingen, istruita da una tale Giuditta, menzionata dalla stessa religiosa nei suoi scritti a prevalenza scientifici e religiosi. Ma Ildegarda, che verrà addirittura inserita fra i dottori della Chiesa da papa Benedetto XVI, non svolse mai attività di insegnamento: non fu mai considerata una maestra, come accadeva invece per gli uomini.
Sempre nell’alto medioevo, le uniche donne non religiose che possedevano il privilegio di essere istruite appartenevano a ceti sociali elevati o addirittura erano figure regali. Ne sono un esempio le principesse longobarde Teodolinda e sua figlia Gundeperga, probabilmente committenti di due opere (rispettivamente l'Historiola di Secondo di Non e l’Origo gentis Langobardorum sulle quali si baserà l’Historia Langobardorum di Paolo Diacono . A seguire, Dhuoda, nobildonna dell’età carolingia e nota per essere l’unica autrice dell’alto medioevo, decise di racchiudere nel Liber Manualis una serie di consigli moraleggianti per il figlio. Spicca, inoltre, la figura di Trotula de Ruggero (sec. XII) dai contorni storici evanescenti, in quanto su di lei non si hanno notizie biografiche, ma sono note solo le opere di carattere medico a lei attribuite nell’ambito della produzione della scuola medica salernitana.
Da qui traspare il fatto che nel medioevo le donne potevano acquisire competenze nel campo della lettura, più raramente nella scrittura, ma era loro preclusa la trasmissione del sapere “alto”, che invece si dimostrava essere solo appannaggio di figure maschili. Ciò significa che alle donne non era possibile essere “soggetto”, ovvero artefici di un qualcosa, utile per esprimere il proprio pensiero: una condizione di censura per il solo fatto di essere donna. L’isolamento culturale, però, non rispecchiava quello della quotidianità, se si pensa alla nobildonna fiorentina Alessandra Macinghi Strozzi (Firenze 1406-71) che nelle sue lettere ricorda di occuparsi di faccende familiari dopo la morte del marito, oppure a Margherita di Domenico Bandini (Firenze 1360 – 1423) che invia epistole al suo coniuge spesso lontano in quanto occupato nelle attività della mercatura, raccontando di amministrare i beni di lui.
Sarà Christine de Pizan a segnare la divisione tra medioevo ed età moderna per le sue attività svolte: oltre ad essere riconosciuta come la prima donna scrittrice e la prima storica laica, è anche insegnante. La Pizan viene rappresentata dall’iconografia del tempo nella sua bottega, con il consueto abito che le permette di muovere facilmente le braccia durante la scrittura, e mentre impartisce lezioni sia da donne che a uomini.
A cura di Sara Cecchini.