Informazione e giornalismo in Turchia

Informazione e giornalismo in Turchia

 
di  Francesco Miriello
 
 
 

In Turchia scrivere un tweet scomodo può costarti il posto di lavoro o, se ti va male, addirittura la galera. Ne sa qualcosa Kadri Gursel, esperto giornalista, licenziato per colpa di un cinguettio contro il presidente Erdogan. Secondo il rapporto di “Reporter Without borders” la Turchia è al 149º posto come libertà di stampa: moltissimi giornali a partire dal 2008 sono stati sequestrati e confiscati, passando così in mano ad imprenditori vicini a Erdogan e di fatto a servizio del regime. “Nelle edicole - sostiene Gursel - escono 7/8 giornali tutti con lo stesso titolo: non esiste più competitività fra giornalisti ma corporativismo”. Il clima in patria è pesante: “ricevo quotidianamente attacchi di troll informatici e minacce di morte: noi giornalisti siamo visti come dei traditori della patria, dei veri e propri terroristi”.
 
La censura di Erdogan negli anni si è sempre più sofisticata, con cifre vertiginose investite in questa battaglia al web: gli accessi a Internet sono stati rallentati a tal punto che un’operazione semplice come caricare un’immagine potrebbe richiedere qualcosa come 25 minuti. Emblematico il caso dell’oscuramento di Twitter, risolto poi dall’azienda americana: non per amore della libertà di stampa, ma per non perdere i propri profitti commerciali.
 
A combattere questo bavaglio dell’informazione è da citare l’esempio di P24, associazione no-profit a sostegno della stampa indipendente turca, che incoraggia e insegna un tipo di giornalismo investigativo canonico e non propagandistico.
 
La situazione è ancora però drammatica: a breve verrà ratificata la nuova Costituzione che farà sprofondare la Turchia in un totalitarismo anche a livello giuridico. La chiosa di Gursel è amara: “stanno uccidendo il Giornalismo: ci condannano a essere esclusi per sempre dalla nostra professione, che non ha un'alternativa, per sostituirla con una macchina di propaganda”.
 
 
 
 

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