Io sono il vento - Recensione
Queste parole aprono il programma di sala dello spettacolo “Io sono il Vento” in scena al Teatro Morlacchi dal 22 al 26 febbraio: “Io sono il vento si svolge a bordo di una barca a vela immaginaria; e l'azione, anch'essa è stata immaginata, è inventata e non deve essere completata, ma rimanere immaginaria. Ci sono due persone: l'uno (Matthias de Koning) e l'altro (Damiaan De Schrijver), (...)”
Ho avuto la possibilità di vedere Io sono il vento mercoledì 22 febbraio in prima nazionale. Ringrazio la redazione di Radiophonica per avermi dato questa opportunità.
Ci troviamo di fronte a un’opera complessa, a causa delle sue numerose tematiche. Non basta una sola visione per cogliere a pieno il senso del testo. Proverò in queste brevi righe, oltre che a raccontare la serata, a condividere con i lettori la mia personale interpretazione dello spettacolo e del suo significato.
Non appena si supera l’ingresso del Teatro, dopo aver “staccato” il biglietto, il pubblico si accomoda direttamente sul palcoscenico e viene accolto da una scena vuota, completamente nera, con gli attori seduti su due sgabelli, circondati da bottigliette d’acqua e qualche lattina di birra. Nient’altro. Ci si sente subito calati in una dimensione estremamente intima e soffusa.
Dopo qualche minuto di attesa e qualche scambio di sguardi tra pubblico e attori, lo spettacolo comincia. Gli attori recitano in lingua fiamminga, lo spettacolo è infatti sottotitolato in italiano. Se questo elemento può essere fastidioso per alcuni in realtà si rivela essere uno spunto scenico interessante in quanto lo spettatore fruisce del testo sia attraverso la voce degli attori sia nella sua forma più semplice e originaria, quella della parola.
È la parola la vera protagonista e a questa si aggiunge l’immaginazione dello spettatore, che attraverso il significato della parola completa una scena vuota mediante la sua stessa fantasia. Si diventa dunque attivi e partecipi del testo. Un po' come quando si legge o si ascolta qualcuno leggere un libro.
Lo spettatore è costretto a interpretare ciò che vede e ciò che ascolta. È attivo come già detto. Proprio per questo si è quasi costretti a interpretare ciò che si legge/ascolta. Io stesso ho tentato di farlo durante la visione.
Come detto all’inizio si racconta la storia di due uomini che viaggiano in mare su una barca a vela. Gli uomini non hanno nome, e discutono tra di loro. Il tema di questa discussione? l’esistenza e ciò che essa comporta, la solitudine.
I protagonisti infatti sono soli, in mezzo a un mare deserto, nel quale l’unica realtà che li circonda è quella della propria interiorità.
I due personaggi vengono chiamati in drammaturgia come “Io” e come “Altro”: L’Io è simbolo dell’assoluta interiorità e sarà principalmente lui a prosi domande prettamente esistenziali; L’Altro tenta di rispondere e di comprendere il perché di tali domande.
Il punto fondamentale, a mio parere, è capire cosa simboleggi il personaggio dell’Altro. Per quanto mi riguarda questo non sta a incarnare l’effettiva presenza di un altro soggetto nella scena, quanto piuttosto una sorta di proiezione mentale di ciò che è altro da me: di ciò che è altro quindi dall’Io (soggetto) ma che è comunque parte dell’Io.
Per semplificare, la figura dell’Altro è dunque in realtà una proiezione dell’interiorità dell’Io. Motivo per il quale la relazione intersoggettiva tra io e alterità non è nient’altro che relazione con sé stessi. Lo spettatore, dunque, non assiste a un dialogo tra due persone ma a un lungo monologo interiore tra Io e sé stesso.
Chiarito il senso della relazione tra i due personaggi passo ora ad analizzare alcuni elementi ricorrenti tutta la narrazione.
Il primo è l’elemento del mare, il contesto nel quale si svolge la scena. Per quanto mi riguarda il mare simboleggia la vita o meglio “il mare della vita” nel quale ogni essere umano è costretto a navigare nel migliore dei casi o a naufragare nel peggiore.
Il secondo elemento è Il vento. Questo non è nient’altro che il motore del viaggio in mare, perché la barca a vela si muove solo grazie a quest’ultimo. Il vento ha un ruolo importantissimo, perché è da quest’ultimo che dipende il navigare o il naufragare. Se Io sono capace di controllare il vento (se io sono il vento) posso navigare nel mare anche quando le sue acque sono più tempestose. Se invece non divento il vento (se io non sono il vento), questo navigare si fa naufragare e si è travolti dalla potenza del mare e quindi dalla casualità della vita.
Ecco che allora lo spettacolo non fa altro che raccontarci la più umana delle attività, quella del viaggio nel mare della vita di ognuno di noi. Un viaggio fatto di silenzi, di fruscii, di notti insonni, di tempeste e di momenti di totale calma piatta.
Questi sono solo alcuni spunti tematici che lo spettacolo fornisce e che ho cercato di riassumere brevemente in questo testo (ci tengo a sottolineare che ciò che avete letto sono mie personali interpretazioni e che proprio come tali potrebbero essere totalmente errate).
Avrei potuto parlare di tantissimi altri aspetti, ma non voglio privare il lettore della sua esperienza personale in teatro. Consiglio infatti la visione di questo spettacolo proprio per la sua amplia portata tematica, che permette a ogni spettatore di confrontarsi con la propria interiorità e capacità riflessiva.
- Giulio Fortunato