La nostra società è ormai una tundra desolata secondo Federico Mattioni

La nostra società è ormai una tundra desolata secondo Federico Mattioni

La nostra società è ormai una Tundra desolata secondo Federico Mattioni
di Alessandro Ticozzi
 
La didascalia in apertura c’informa che è ambientato nella Roma del 2027, ma potrebbe essere benissimo la realtà che stiamo vivendo da circa un anno a questa parte – causa pandemia globale – quella raccontata nel film Tundra prodotto e diretto da Federico Mattioni: questi anche autore di soggetto, sceneggiatura, regia, missaggio, sound design e montaggio; nonché casting director con l’aiuto regista, operatore e location manager Marco Bomba. I due inoltre appaiono rispettivamente come un coatto capitolino – conteso tra la concittadina Maria Luce Pittalis e la napoletana Giulia Iannaccone – e uno zombi che s’aggira stremato per la città con la moglie Marina Picardi e il figlio Gabriele Scopel al seguito: un “faidaté” segnato da un biennio di lavorazione travagliata (nobilitato tuttavia dal puntuale lavoro d’operatore e direttore della fotografia di Ginevra Barboni, degna discendente di una celebre stirpe formatasi su siffatti mestieri), che portò ad una minima distribuzione in sala come per ogni pellicola indie che si rispetti.
E proprio seduta nella platea di una maxisala deserta viene intervistata da una voce off la protagonista: un intensa Giorgia Palmucci (attraversata da sensibili tocchi che in qualche modo rammentano la compianta “musa” godardiana Anna Karina), spinta così a rievocare la vicenda che l’ha portata – insieme alla piccola Valentina Bivona – ad attraversare l’intera capitale desolata (principalmente però quella periferica di pasoliniana memoria: non a caso vengono inquadrati pure murales raffiguranti il poeta di Casarsa accanto alla “sua” Mamma Roma-Anna Magnani; nonché la scritta Affabulazione che ne richiama uno dei testi più celebri, reso tale soprattutto dall’interpretazione scenica dei Gassman padre e figlio) alla ricerca di una pellicola contenente una preziosa testimonianza poetica sul potere del cinema (celebrato in forma concitata alla Tatti Sanguineti anche dal bizzarro critico Federico Baldini), custodita dal “vecchio saggio” Fernando Di Virgilio (medesimo ruolo seguitamente ricoperto nel film exploit al botteghino Me contro Te dei fidanzatini youtuber Luigi “Luì” Calagna e Sofia “Sofì” Scalia) al riparo dalle autoritarie tentazioni animanti il totalitaristico governo contestato – agli opposti generazionali – dall’anziano poeta beatnik di remottiana memoria Antonio Anzaldi come dalla giovane homeless anarchica Maria Laura Moraci, che in una crescente invettiva esprime in tal senso quell’appassionato attivismo politico che l’accompagna sin dall’adolescenza anche nella propria vita reale.
La stessa reliquia è ricercata pure da un impacciato detective cinese parodizzante Charlie Chan (Noli Sta Isabel), irretito per un verso da una maliarda femme fatale alla vaccinara (Ornella Lorenzano) e per l’altro dall’impertinente lolita (stile Luciana Littizzetto dei tempi di Mai dire Gol, per capirci) Federica Colucci, che – come la Palmucci – è stata peraltro coinvolta negli innovativi film sperimentali che l’ottuagenario cineasta tedesco Eckhart Schmidt sta portando avanti da anni qui in Italia valorizzando diversi floridi talenti femminili emergenti.
Sono solo alcuni dei personaggi che ritroviamo sparsi per la pellicola, costruita principalmente attraverso quadri brechtiani ad inquadratura fissa suddivisi per capitoli: il risultato rimane discontinuo e non sempre di facile lettura, ma altresì nel complesso originale e interessante.
“Attenderemo il pubblico finché ci saranno porte d’aprire, nuove storie da sentire, anime da riunire”, sono le parole con cui Mattioni sceglie di chiudere in calce il proprio lavoro in questione: un auspicio che – ancor più nei tristi tempi attuali – ci auguriamo possa concretizzarsi nella distanza.

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