Lucia Bramieri: “Mio suocero Gino, impareggiabile comico che fece la storia dello spettacolo leggero italiano”
a cura di Alessandro Ticozzi
La nuora del popolarissimo attore tratteggia le caratteristiche peculiari che determinarono il suo clamoroso successo popolare, ma anche un affettuosa immagine privata: concludendo sulle proprie iniziative passate e progetti futuri per tramandarne la figura alle nuove generazioni.
Dapprima fantasista nell'avanspettacolo, passato in seguito alla rivista, da cosa furono segnati gli inizi artistici di Gino?
Gino amava talmente tanto l’idea di lavorare in teatro che all’inizio andava a fare il trovarobe, cercando quello che serviva a cucire i bottoni e a tirare il sipario: qualunque cosa dietro le quinte pur di respirare l’aria del palcoscenico. Allora disse mio suocero, raccontando gli inizi di questa sua carriera: “Un giorno io sarò su quel palco, e sulla locandina all’esterno ci sarà il mio nome”, e così poi è stato. Dopo l’avanspettacolo, lui ha quindi iniziato a lavorare in rivista con Macario, partendo da piccolissime parti per poi ricoprire dei ruoli sempre più importanti.
Gino ebbe alfine duraturi successi, affermandosi alla radio, in televisione e – appunto – in teatro: quali furono a Suo avviso i segreti della sua vis comica che glieli garantirono per tutto il corso della sua carriera?
Questa è una domanda che forse bisognerebbe fare al pubblico che lo ha seguito per così tanti anni: io credo che sia stata la sua semplicità. Non era il tipo di artista che in qualche modo si rendeva prezioso: lui era sempre disponibile con tutti. Quando lo fermavano per strada, aveva sempre una parola; anche mentre mangiava al ristorante, Gino si tratteneva e dava retta. Nei suoi spettacoli teatrali e televisivi praticamente riprendeva le scene del quotidiano cui magari assisteva mentre andava in giro: bastava una situazione comica che si verificava per strada o sul tram, e da lì prendeva lo spunto. Trasferendo quello che poi era effettivamente il mondo di tutti i giorni, da lì la gente si identificava e si rispecchiava in tali scenette – che andavano dal tamponamento all’incidente, fino ad altre circostanze che capitano normalmente nella vita giornaliera.
Fu forse per Gino un cruccio il fatto di non essere riuscito a “bucare” unicamente al cinema?
Gino aveva come propria prerogativa il contatto col pubblico, e il cinema ovviamente non ti dà questa possibilità: lì tu devi interpretare una parte ma non hai il suddetto confronto; mentre – quando faceva i suoi G.B. Show in televisione – aveva il pubblico in studio. A teatro meglio ancora: è vero che recitavano sempre la stessa commedia, però – trovandoti tutte le sere di fronte a un pubblico diverso – anche l’emozione cambia. A volte c’è un pubblico più caloroso, mentre altre un pubblico che magari viene coinvolto di meno: per un artista come Gino stare sul palcoscenico era una sfida continua, proprio perché ogni giorno c’era un pubblico nuovo da soddisfare facendolo divertire. Era questo suo rapporto diretto con il pubblico che gli dava la carica e lo teneva galvanizzato: pertanto non penso che sia stato per lui un rammarico non aver sfondato nel cinema, essendoci riuscito alla grandissima come attore in mezzo alla gente. Gino ha fatto cinquant’anni di teatro, e questo ci spiega anche il perché.
Quali ricordi personali La legano di più a Gino?
Due momenti: il giorno in cui mio marito Cesare – che appunto era il suo unico figlio – mi portò in camerino al Teatro Manzoni per conoscere suo padre. Seguivo già Gino in teatro, così come la mia famiglia: essere a lui presentata in quella circostanza come fidanzata del figlio è stata un emozione grandissima. Poi il giorno in cui mi sono sposata: quello ovviamente è stato un ricordo che non si potrà mai cancellare. A parte che Gino arrivava sistematicamente seguito da una scia di profumo pazzesca, di lui ricorderò sempre il fatto che – tutte le volte che mi vedeva – mi faceva il baciamano e mi dava un bacio sulla fronte: un gesto di galanteria estrema che lo ha sempre contraddistinto per quel gentiluomo che era.
Da quando Cesare venne a mancare nel 2008, Lei è rimasta l’unica erede diretta: come vive l’enorme responsabilità di serbarne la memoria artistica per le future generazioni, e quali sono i Suoi futuri progetti in tal senso?
Per me è un onore e un onere, oltre che un impegno importante: nel decennale e nel ventennale della morte di Gino ho organizzato degli eventi teatrali molto belli al Teatro Manzoni, dove appunto lui ha sempre lavorato fino all’ultimo spettacolo. Nel primo erano venuti per ricordarlo Mike Bongiorno e i coniugi Vianello, mentre nel secondo – presentato da Marco Columbro – Gerry Scotti e i Legnanesi. Ho fatto una mostra fotografica con tutti i premi e gli altri oggetti appartenuti a Gino, compresi il borsello e gli occhiali: grazie al comune di Milano, sono per giunta riuscita a fargli intitolare una via e – all’interno del cimitero monumentale dov’è sepolto – farne incidere il nome al Famedio, laddove sono iscritti quelli dei cittadini benemeriti meneghini. Ogni volta che ho occasione di partecipare a una trasmissione per un intervista, chiedo sempre di riportare un momento di ricordo a mio suocero, cui inoltre vorrei fosse dedicato uno speciale televisivo: infine – prima o poi – mi piacerebbe istituire un premio che possa proseguire anche quando non avrò più l’età per seguire personalmente queste cose, lasciando comunque traccia di un uomo che ha fatto effettivamente la storia sia del teatro che della televisione.