Marco Ferradini: “Herbert Pagani, artista difficile ma geniale ingiustamente dimenticato”

Marco Ferradini: “Herbert Pagani, artista difficile ma geniale ingiustamente dimenticato”

a cura di Alessandro Ticozzi
 
Il cantautore comasco rievoca il fruttuoso sodalizio con il poliedrico artista tripolino prematuramente scomparso, cui alcuni anni fa ha dedicato un doppio CD celebrativo con la partecipazione di suoi illustri colleghi.
 
 
Com’è avvenuto il Suo primo incontro con Herbert Pagani?
 
Il mio primo incontro con Herbert Pagani è avvenuto in una sala che ci diede la Zanichelli lungo i Navigli di Milano: un luogo “storico” dove hanno inciso un po’ tutti i grandi artisti italiani. Allora facevo il vocalist: venni lì convocato – insieme ad altri musicisti – dallo stesso Herbert Pagani perché lui in quel momento stava facendo dei jingle per i programmi di Radio Monte Carlo, di cui era uno dei deejay. Rimasi veramente impressionato dalla sua professionalità e perfezionismo: non accontentandosi facilmente di mere performance, ci propose quindi cose molto interessanti, inerenti a mondi creativi cui noi non eravamo preparati. Poi siamo invece stati presentati ufficialmente dal mio produttore Sandro Colombini, che fu per breve tempo anche il suo: qui cominciò una collaborazione molto stretta – giacché Herbert scriveva molto bene i testi ma non la musica, mentre io invece scrivevo molto bene le musiche ma non i testi. Eravamo complementari: lavorando insieme, abbiamo perciò creato brani che hanno avuto molto successo.
 
 
Di tale fruttuosa collaborazione, quali sono a Suo avviso i passaggi più importanti?
 
Sicuramente quando siamo partiti in montagna insieme: io avevo scritto delle musiche, buttando inoltre giù dei testi raffazzonati che però non mi soddisfacevano. Quindi siamo andati in uno chalet di proprietà di suoi amici a Macugnaga, sulle Alpi piemontesi: lì abbiamo passato un weekend – successivamente riportato anche nella canzone intitolata appunto Week End – dove di giorno passeggiavamo parlando, e di sera tutto questo flusso si riversava nei pezzi. Per scrivere delle belle canzoni abbiamo bisogno di conoscere chi le canta: noi ci siamo conosciuti proprio facendo questi due giorni insieme raccontandoci, camminando e respirando all’unisono. Così è nata sia la nostra amicizia che le canzoni che mi hanno portato al successo: Teorema, Schiavo senza catene, la stessa Week End e Bicicletta. Questi quattro furono i primi brani che abbiamo scritto assieme: poi invece fui io a scrivere delle musiche su brani che – venendo a mancare – non ebbe tempo d’incidere. Ciò mi dispiacque molto: tuttavia io li ho ripresi e li ho fatti miei nel doppio album La mia generazione.
 
 
Cosa L’ha spinta a realizzare nel 2012 questo tributo ad Herbert Pagani insieme a Suoi qualificati amici e colleghi?
 
Avevo precedentemente fatto a Trieste un concerto dedicato proprio ad Herbert Pagani per una festa ebraica, perché lui era appunto ebreo. Lì c’era anche un museo dove hanno esposto tutte le sue opere, molte delle quali sono rimaste a New York: in quest’occasione ho conosciuto delle persone che mi hanno chiesto di tributargli un album. Quindi mi sono fatto dare un CD con tutta la sua produzione: cominciando a spulciarlo, ho preso la chitarra e ho fatto mie queste canzoni. Comprendendo la fattibilità del progetto, mi sono chiuso in studio insieme a José Orlando Luciano – un mio caro amico arrangiatore – e abbiamo cominciato a elaborare questo progetto. Ci siamo resi conto che – per dare più forza ad un idea di ricordare questo grande artista – forse avevamo bisogno di chiedere la partecipazione pure ad alcuni importanti artisti del panorama cantautorale milanese, e così abbiamo fatto: da Eugenio Finardi a Flavio Oreglio, da Fabio Concato ad Alberto Fortis, da Andrea Mirò a Mauro Ermanno Giovanardi, da Moni Ovadia a Ron, tutti hanno partecipato con molto entusiasmo. Io sono stato l’unico che l’ha voluto ricordare con un omaggio: visto che ho costruito quei successi anche grazie a lui, dopo tanti anni mi sembrava giusto ricambiare questo grandissimo regalo che mi aveva fatto.
 
 
Tuttavia Herbert Pagani ha svolto pure altre attività artistiche: qual’era secondo Lei il fil rouge della sua poliedricità?
 
Herbert Pagani aveva avuto un infanzia difficile e tormentata: era scappato dalla Libia insieme ai propri genitori, che poi – litigando tra loro – si erano divisi. Pertanto ha sempre avuto bisogno di ricevere amore: in questo modo naturalmente i suoi genitori non riuscivano a dargliene nella misura in cui lui desiderava. Inizialmente il disegno era il suo principale modo per esprimersi e comunicare con gli altri: molti suoi schizzi hanno ottenuto anche un certo successo. Pian piano ha invece cominciato a scrivere, dedicandosi poi anche alla pittura e alla scultura; tutta una serie di cose come avesse voluto urlare: “Io sono qui: abbracciatemi”. Questo è il suo concetto: quindi è stato il classico artista che – avendo subìto su di sé delle serie traversie – nutriva bisogno degli altri per stare in piedi e ricevere affetto costante. Aveva questo grande fuoco dentro: una passione che si è dimostrata inesauribile. Quando mi ritrovavo con lui a lavorare, bisognava difatti contenerlo perché non era un personaggio facile: era pieno di idee e iniziative. Non stava mai fermo: pur difficile da gestire, era però un grande artista.
 
 
A più di trent’anni dalla prematura scomparsa di Herbert Pagani, cosa significa a Suo avviso ricordare oggi un artista così poliedrico da tempo ingiustamente caduto nell’oblio?
 
Le cose belle vanno sempre ricordate: non finiscono mai. Secondo me lui ha fatto delle cose di grande validità e spessore: non è mai stato ricordato perché a suo tempo – essendo uno di quei personaggi che ami oppure odi – forse sulla sua strada ha litigato con qualcuno. Più probabilmente si è anche dedicato a troppe arti contemporaneamente: se ti dedichi alla scrittura, al disegno, alla pittura e alla scultura come ha fatto lui, alla fine non hai un diritto unico e rischi di non essere ricordato per una cosa specifica. Però sicuramente – rispetto a tutti gli artisti che ho conosciuto – Herbert aveva una marcia in più: trovo veramente assurdo che nessuno vada a spulciare nelle sue cose per capire chi è stato. Io nel mio piccolo ho fatto questo doppio CD perché ritenevo giusto che la sua immagine venisse ricordata in un modo degno: perciò ho coinvolto anche altri colleghi, che hanno avuto piacere di accettare perché tutti convinti della sua importanza.

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