Paradiso: in scena al Teatro Morlacchi

Paradiso: in scena al Teatro Morlacchi

Simone Cristicchi firma testo, regia e musiche di “Paradiso”, spettacolo in scena domenica 26 marzo al Teatro Morlacchi di Perugia. Ho avuto modo di vedere questo spettacolo grazie agli amici di Radiophonica, che ringrazio per l’opportunità e soprattutto per la possibilità di condividere con i lettori le mie impressioni.
All’apertura del sipario ci troviamo di fronte a una scena semplice. Sul palco a sinistra un tavolo pieno di libri e una lampada da scrivania di quelle antiche; e sulla destra una colonna in stile classico spezzata a mo’ di sgabello. Al fondo del palco un panello sul quale vengono nel corso dello spettacolo proiettate diverse immagini e video.
Anzitutto ci tengo a sottolineare la struttura e l’impostazione molto gaberiana dello spettacolo. Mi ha ricordato in più punti il Teatro Canzone di Giorgio Gaber, non solo per l’alternanza tra prosa e cantato ma soprattutto per l’approccio estremamente intimo tra pubblico e interprete: Cristicchi, come Gaber, si fa portatore di un lume che prende lo spettatore metaforicamente per le mani e lo accompagna in un viaggio interiore e riflessivo.
Lo spettacolo si apre con la proiezione di alcune immagini e video raffiguranti l’infinitudine della natura (vediamo infatti alberi, cascate, le onde del mare...). Lo spettatore non può che rimanerne inevitabilmente catturato dalla “straziante meravigliosa bellezza del creato” che subito però cessa di essere tale perché, quasi come uno schiaffo, a queste immagini ne susseguono altre raffiguranti distruzione, inquinamento e morte.
Dopo questa introduzione, che subito ci regala grande straniamento, Cristicchi declama l’incipit del primo canto del Paradiso dantesco e successivamente si avvicina al tavolo sulla sinistra e inizia a scrivere una lettera a Dante. Lo spettacolo è interamente un grande omaggio a forse il più grande poeta di tutti i tempi, che quasi come un terzo elemento scenico, veglia su tutti noi che udiamo le sue parole scritte secoli fa.
Infatti, quella del viaggio dantesco è di fatto un pretesto per parlare di altro. Cristicchi prende il viaggio di Dante e ci fa comprendere come quel viaggio di un singolo sia in realtà un viaggio universale. Dante con la Divina Commedia non fa nient’altro che raccontarci il viaggio mistico che ogni essere umano compie nel suo passaggio di vita terrestre, in attesa e nel tentativo di ricercare qualcos’altro durante quel percorso. Un altro da sé detta in termini strettamente filosofici. E l’altro da sé è l’infinito, la tensione verso l’infinito: il desiderio di infinito.
Cristicchi utilizza molto nel corso dello spettacolo la parola “desiderio”. Ci dice egli stesso che il significato etimologico della parola de-sidero significa letteralmente “nostalgia di stelle”. È dunque la parola desiderio stessa che essenzialmente racchiude in sé il significato di quella ricerca esistenziale. “la nostalgia di stelle” non è nient’altro che sete di infinto.
Penso che chiunque almeno una volta nella vita si sia ritrovato a contemplare il cielo e a chiedersi dove sia il senso di questo mondo e di questo viaggio. Ecco Cristicchi ci dice che questa sia l’esperienza più assolutamente umana che possiamo vivere, perché è un’esperienza universale e soprattutto a-storica. Infatti (e non è un caso che nel corso dello spettacolo quando si parla di ciò lo si fa in piedi sopra la colonna classica), la riflessione sull’infinito accompagna la storia dell’essere umano da sempre. Un’azione semplicissima: si alzano gli occhi al cielo e si entra in relazione con l’infinito. Una relazione che non è solamente esistenziale ma è anche e soprattutto essenziale, ci dice Cristicchi: perché di fatto la vita stessa è “fatta della stessa materia delle stelle”.

“Stelle” inoltre è un termine ricorrente nella Divina Commedia, quella parola chiude ogni cantica: Inferno “E quindi uscimmo a riveder le stelle”; Purgatorio “puro e disposto a salire le stelle”; Paradiso “l'amor che move il sole e l'altre stelle”
La nostalgia di stelle non è nient’altro che il desiderio esistenziale del comprendere a pieno il fine della nostra vita. Ecco che allora capiamo il motivo del titolo dello spettacolo: “Paradiso”. Cristicchi ci dice che noi umani siamo in costante ricerca del Paradiso, ci chiediamo costantemente che cosa sia e soprattutto dove sia, senza mai giungere forse a una risosta concerta e soddisfacente. E qui Dante torna ad aiutarci: la dimensione dell’ineffabilità, del incomunicabile che egli sottolinea nel trentatreesimo canto del Paradiso, quando finalmente guigne alla visione di Dio ci aiuta a capire quanto in realtà questo paradiso sia sfuggente e deve rimare tale: perché sta a noi umani in vita crearci il nostro paradiso, riappropriarci di esso ed in fine custodirlo. E la chiave di questa salvaguardia del paradiso è l’amore, quell’amore che “move il sole e l’altre stelle”.
Ecco che allora l’intero spettacolo diviene un grande invito a ritrovare e a ritrovarsi. Un invito che va oltre il singolo spettatore e che allude a una dimensione universale (non a caso la tematica ambientale è sempre sullo sfondo), che esorta un intera specie a trovare o forse a ritrovare quel paradiso perduto di cui sentiamo tanta nostalgia.

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