Racconto prima giornata IJF13
La settima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo parte subito con un “pacco” da parte di Matteo Renzi che per l’incontro “Internet e Politica. Il consenso e rappresentanza nell’epoca digitale” da buca non presentandosi all’appuntamento. Lo capiamo benissimo. Il tema di discussione di tutto il giorno è stato l’incarico dato da Napolitano ad Enrico Letta. Renzi ha da pensare come impadronirsi del PD, non sarebbe mai potuto venire, sarebbe stato assediato dai giornalisti e da domande a cui lui non avrebbe potuto dare risposta. L’affluenza nel primo giorno non è stata altissima. Nelle varie sale e nei vari incontri, dalla prima mattinata al tardi pomeriggio, c’era un clima molto tranquillo dato appunto dal poco caos e dalle poche persone presenti. Incontro molto interessante, quanto pratico, è stato quello tenutosi nella sala Lippi alle 17:00 con Raffaele Boiano (architetto dell’informazione) e Andrea Iannuzzi (direttore AGL), si è parlato o meglio si è spiegato il responsive design dei contenuti, cioè sulle notizie liquide, quelle mobili che viaggiano in rete. Chi lavora in un giornale è abituato ad avere il controllo sul modo in cui il contenuto viene rappresentato graficamente. Le relazioni immutabili che questo contenuto stabilisce nello spazio di una pagina sono ciò che consente a chi legge di comprendere il senso della notizia. Il web, con le sue relazioni in evoluzione e la possibilità di essere letto da supporti differenti, impone un ripensamento: prima di tutto giornalistico, nella genesi del contenuto, che soltanto in un secondo momento può divenire grafico. È il responsive content design, cioè la capacità di produrre contenuti adattabili ai diversi dispositivi e ai diversi contesti d'uso. Dall’incontro si è capito come l’editoria italiana è arretrata rispetto al resto del mondo. Il ruolo del giornalista è cambiato ma in Italia si vive ancora nel ‘900. Il giornalista di oggi deve capirne di codici informatici, di scrittura html e tutto quelle cose tecniche che permettono il viaggiare del contenuto-notizia nel migliore dei modi. La capacità tecnica di produrre contenuti e contenitori digitali ha ormai la stessa importanza dello saper scrivere. È un dato di fatto con il quale bisogna confrontarsi. Oggi forse molti “anziani” non riescono nemmeno a comprendere il cambiamento epocale al quale stiamo assistendo, ma noi giovani non abbiamo scusanti.
I picchi di affluenza si sono avuti per gli eventi, diciamo più pop, della giornata. Alle 18:30 l’incontro con Ezio Mauro (direttore della Repubblica) e alle 21:15 con Storie di un’Italia che maledice con Concita de Gregorio e Maurizio Landini. Entrambi gli incontri si sono tenuti della bellissima e storica Sala dei Notari.
Partiamo con il primo. Nell’incontro con Ezio Mauro si è parlato, ovviamente, della situazione politica italiana. Intervistato da Arianna Ciccone (organizzatrice del Festival) la discussione parte subito con la cosa più banale che si poteva chiedere al direttore di Repubblica: Berlusconi. Io non commento perché non ha senso. Ezio Mauro racconta, poi, con estrema serenità il fallimento di un’intera epoca politica (ripercorrendo anche le ultime vicende del PD) come se niente fosse. Oltre al dire ognuno si prenda le proprie responsabilità (frase che non vuol dire assolutamente nulla), non riesce ad andare oltre al commento sterile e, secondo lui, super partes. Verso la fine la Ciccone gli chiede cosa ne pensa di Matteo Renzi e il direttore risponde dicendo che Matteo è un buon leader però non pensa alla gente come lui, intesa come lettorato con lo stesso pensiero o almeno simile a quello suo, dicendo palesemente che loro sono migliori. Bè, da questa affermazione si capisce perché la sinistra italiana in 67 anni di Repubblica non ha mai governato, e se continua con questo assetto di superiorità non vincerà mai. Un’altra cosa che ho notato è stata la completa alienazione in cui vertono questi professionisti del settore: ad un certo punto la Ciccone chiede al direttore cosa ne pensa di twitter, delle notizie in rete, del cambiamento culturale globale al quale stiamo assistendo e il direttore risponde: noi di Repubblica abbiamo 1 milione di fan su facebook. Ad una domanda complessa, l’unica strettamente connessa al mondo pratico del giornalismo presente e futuro, abbiamo avuto una risposta assente.
Nel secondo e più dinamico incontro, quello sulle storie di un’Italia che maledice, Concita De Gregorio racconta insieme ai presenti Claudia Cucchiarato (giornalista e scrittrice) e Claudio Stassi (disegnatore) le storie di ragazzi fuggiti dall’Italia per rabbia, per mancanza di lavoro e di futuro. Tutto molto bello. Ma poi quando si inizia a parlare di come risolverli questi problemi, non si sa cosa dire. L’unico a dire la propria in maniera pratica è Maurizio Landini, sindacalista e segretario generale della FIOM. Parte raccontando come il mondo del lavoro di trent’anni fa è ormai inesistente, lo racconta portando ad esempio il ruolo centrale ed efficiente degli uffici di collocamento d’allora. Ci spiega come la generazione attuale è stata abbandonata e sfruttata. Ci fa l’esempio pratico dei 46 tipi diversi di contratti di lavoro che secondo Landini sono una follia. Ci spiega come si creano discriminazioni all’interno di aziende dove magari si ricoprono stesse mansioni e orari lavorativi ma avendo contratti diversi si hanno stipendi diversi. Rimette in discussione il ruolo del sindacato ormai diventato, come quello politico, chiuso e autoreferenziale. Propone, nel suo piccolo, delle soluzioni per uscire da questa crisi economica: dal reddito minimo di cittadinanza (cosa molto più seria di quanto si pensi), al ruolo dello Stato nelle politiche industriali con vincoli riguardo agli investimenti, alla sostenibilità ambientale e alla qualità del lavoro. E infine dice una cosa fondamentale che si sente troppo poco in giro: il problema della ridistribuzione del reddito e della ricchezza in Italia. L’incontro, e la prima giornata del Festival, finisce con la presa d’atto, da parte di due figure differenti come quella della De Gregorio e quella di Landini, che questo è mondo ormai che sta scomparendo e la nostra sarà la generazione che dovrà rifarlo. Il percorso è ormai irreversibile.