Slow journalism&slow news

Slow journalism&slow news

 
di
Francesco Miriello
 
 
 
 
Facebook può sostituire i giornali e i Tg nell’informazione? Sembrerà fantascienza, ma per addirittura il 70% dei giovani italiani il social di proprietà di Zuckerberg è la fonte primaria di informazione. Nel caos del news feed, trovano maggior spazio le “fast news” dai titoli sensazionali e urlati che non ti spiegano la notizia ma che hanno lo scopo di invogliare il lettore a cliccare sull’articolo. In questo panorama sempre più schizofrenico si perde così di vista il valore del giornalismo, costretto a strillare per farsi sentire in questa babele di informazione che genera solo “rumore”.
 
Il professore Peter Laufer, docente alla Scuola di Giornalismo all’Oregon, afferma che il lavoro del giornalista «consiste nell’unire i puntini: chi fa questo mestiere deve spiegare efficacemente i contesti e gli impatti rilevanti di una notizia, non si deve limitare solo a strillare. Il lavoro del giornalista non equivale ad acchiappare click, non si deve diventare schiavi del gratuito: in questo continuo rumore di news la responsabilità dei cittadini è capire che bisogna essere disposti al pagare per avere un’informazione di qualità».
 
Proprio questo è il punto focale della discussione: mentre la velocità del dare informazioni in tempo reale e gratuite ha fatto scadere il livello editoriale anche di testate prestigiose, è necessario andare controcorrente e fare un passo indietro: prendersi tutto il tempo che serve, leggere la notizia “a freddo” ma più ricca e approfondita e soprattutto pagando per avere la qualità. Questa è la ricetta vincente di Rob Orchard, fondatore del magazine Delayed Gratification il cui motto è “last to breaking news”: esce ogni 3 mesi ed il focus è l’approfondimento di notizie uscite 3 mesi prima, spiegando i fatti nel modo più completo possibile, facendo emergere anche dettagli inediti. «Ciò che è necessario è controbilanciare questo mondo dell’informazione in cui i contenuti vengono creati in modo super veloci e aggiornati praticamente in tempo reale: noi invece ragioniamo all’esatto opposto, analizzando le notizie che ci hanno veramente interessato dopo che il polverone si è placato: nel parlare dopo tempo di una notizia cambiano molti aspetti e si scoprono scenari molto interessanti».
 
Nel Delayed Gratification Orchard non ha volutamente inserito la pubblicità, ma si sostiene solo attraverso le vendite e gli abbonamenti dei lettori fidelizzati. «I primi 3 anni non sono stati facili, dovevamo anche sfuggire ai creditori - ricorda imbarazzato - ma adesso posso dire che possiamo andare avanti con le nostre gambe. Attraverso le conferenze e i meet-up nei club noi conosciamo i nostri lettori e discutiamo anche con loro se necessario: questo modello supera il modello delle edicole, che infatti stanno piano piano morendo».
 
Ma questo modello di giornalismo può diventare in futuro mainstream? La risposta di Orchard è lapidaria: «No. Noi sopravviviamo proprio perché il nostro è un pubblico di nicchia: sappiamo bene che la maggioranza delle persone non sarà disposta a pagare per avere informazione di qualità. E in fondo (ride) è anche meglio così».
 
 
 

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