Travaglio a #ijf19: Il giornalismo resiste
di Nicolas Maranca
138 minuti di notizie, commenti e politica. Marco Travaglio, in un Teatro Morlacchi tutto esaurito, chiude la terza giornata del Festival Internazionale del Giornalismo 2019.
A lui il compito di raccontare un anno di eventi di fronte a centinaia e centinaia di spettatori, “Un anno di balle”, come titola il panel. Travaglio sceglie una via schematica, analizzando la visione giornalistica delle 10 cose più in evidenza degli ultimi 12 mesi. Lo fa con il suo solito stile e con la sua solita elasticità, toccando anche più tematiche contemporaneamente, cercando di dare un quadro chiaro alla platea. Che la serata debba riservare molti spunti di interesse lo si nota già dal suo modo di aprire l’evento, dopo pochi secondi di ringraziamenti: “Il nostro sta diventando un appuntamento abituale e ne sono accadute di cose in quest’anno. In 12 mesi, l’informazione ha fatto passi da gigante verso l’estinzione. Ci stanno provando a far scomparire il giornalismo, che deve sopravvivere a se stesso ed ecco perché questo festival è importante”.
Poi si entra nel vivo, partendo da un secco: “Credo che noi, in Italia, sappiamo molto di più sulle fidanzate di Di Maio e Salvini che sulla sentenza sulla trattativa Stato-Mafia”. Il tutto per ricollegarsi alla figura di Silvio Berlusconi, ancora in corsa per le Europee in prima linea nonostante la sua presenza nella stessa sentenza sia stata “messa a tacere”. Spazio, in seguito, alla nascita dell’attuale Governo, dopo molte diatribe, parlando dell’ipotesi che, se non ci fosse stata la linea giallo-verde, “Al 99%, oggi vedremmo Salvini Premier e Berlusconi Ministro della Giustizia, probabilmente, o Delle Finanze in qualità di frodatore fiscale, almeno questo dicevano famosi sondaggi”.
Sulle critiche e le successive smentite alle stesse di varie testate in merito alla figura del Premier Conte, il giornalista invita a giudicare un Presidente del Consiglio per le sue azioni dopo averle effettivamente viste, non prima di ogni cosa. Non manca un accenno alle fake news, come quelle riguardanti la presa di posizione di una parte di elettori con la campagna “#mattarelladimettiti”, un qualcosa che si è “Basato sul nulla” e su cui sono stati inventati “hackeraggi e attacchi terroristici online”, mentre il tutto, per la firma de “Il Fatto Quotidiano”, era da ricollegare al parere degli italiani e “inoltre, siam passati da credere che Salvini fosse una marionetta di Putin a vederlo vicino a Trump, tutto per merito di chi deve dare informazioni in modo giusto”.
Travaglio tocca anche il difficile tema del crollo del ponte Morandi a Genova, esempio di “Totale asservimento della politica ai poteri finanziari”, con il caso Benetton affrontato direttamente da un paio di testate e oscurato dalle altre che “ne dipendevano e ne dipendono economicamente”. L’occasione è stata buona anche per tornare ad esporre la tematica TAV, accostata alla possibilità di ospitare le Olimpiadi a Milano ironizzando: “Nella città lombarda abbiamo tante montagne, mentre quelle poche che sono a Torino le perforiamo per farci passare un treno che non esiste”.
Tra gli argomenti più caldi, il Reddito di Cittadinanza e la poca richiesta degli italiani all’apertura ufficiale delle richieste: “Se siamo passati a parlare di assalto delle code di persone al rallenty delle richieste, la colpa è di chi aveva precedentemente parlato dell’assalto. Inoltre, se proprio vogliamo dirla tutta, non colpisce la concessione di 780 euro a chi non lavora, ma il dare solo 800 euro a chi lo fa a tempo pieno. Poiché siamo tra gli ultimi ad essere ancora senza salario minimo, se questo ci fosse staremmo a parlare di schiavismo”.
Non mancano, infine, dei cenni sui casi giudiziari di Formigoni e De Vito, ma soprattutto sul tema Tria, di recentissima attualità: “Dello Jeti si sa tutto, ma di Tria no. Non sappiamo da dove viene, perché viene e perché non scappa via. O forse lo sappiamo, oggi”. Nel congedare la città umbra, Travaglio lancia un messaggio di speranza: “Nonostante i tentativi a macchia di leopardo di annientarlo, il giornalismo resiste e speriamo di essere ancora qui a parlarne tra 12 mesi”.