Twittare o Non Twittare? questo il dilemma! di @paolafaraca
Questa mattina la signora Perugia ci ha accolti con una calda e avvolgente giornata, quasi a voler offrire un benvenuto a tutti coloro che prendono parte ogni anno al Festival Internazionale del Giornalismo, un festival arrivato alla sua settima edizione che nonostante alcune ripetizioni ha in sé una carica positiva e nuova, ovvero la sua apertura totale ad un ampio pubblico e quindi la possibilità per il cittadino comune e gli addetti ai lavori di confrontarsi, crescere, conoscere; un luogo in cui misurarsi con i media “main stream e non” senza il “freno a mano” della censura, rischio che a quanto pare gli ospiti del festival corrono felicemente o forse imprudentemente; fatto sta che la vista di Corso Vannucci e di tutte le sue arterie gremite dai colori dei suoi tanti passanti, dall'intreccio delle più diverse culture ridona alla città linfa vitale, nel bene e nel male. La prima conferenza ha cui ho assistito, o per chiamarla col suo nome “panel discussion”, si è tenuta nella sala Alessi, il tema era quello caro alla community del festival del giornalismo, ovvero Twitter, nello specifico il titolo citava “Twitter e giornalismo personale: lo scenario italiano”, tradotto quanto e come i giornalisti italiani si servono di twitter. Il relatore Mauro Turcatti, ha mostrato alle persone presenti in sala e ai suoi ospiti, nello specifico Fabrizio Goria, giornalista economico, Andrea Iannuzzi, direttore AGL ed infine il simpaticissimo Dennis Redmond, scrittore e giornalista, una serie di slide, ben dettagliate, recanti uno studio compiuto su un campione di 2000 giornalisti italiani e delle loro abitudini su twitter. I dati non sono confortanti se si considera, come citava Andrea Iannuzzi durante l'incontro, che ogni 2 giorni e mezzo avvengo quasi un miliardo di twit. In realtà i giornalisti nostrani lo utilizzano poco e magari male, solo una percentuale minima fa un uso di twitter più consistente. A questo punto della conferenza mi sono chiesta se fosse davvero necessario dover correre a tutti i costi dietro alla tecnologia; se da un lato è vero che il giornalista non può permettersi di “restare in dietro” dall'altro è anche vero che il motto “ o sei dentro o sei fuori” mi suona un po' cacofonico e poco democratico. Per certo Twitter e i social network in generale sono il nuovo che avanza, o meglio che diventa abitudine, insomma il futuro che si fa presente e indubbiamente garantiscono all'informazione una partecipazione nuova, quella degli utenti, costringendo gli stessi giornalisti a rimettersi in gioco e a dover a volte accettare il confronto diretto con i propri “followers”, che non sempre si conclude con parole di elogio. Mentre compivo queste riflessioni ho alzato gli occhi e su quattro persone sedute al tavolo della conferenza in tre avevano tra le mani o davanti gli occhi un cellulare, e ascoltando gli esempi dei vari twit che hanno fatto la storia, la mia attenzione si è fermata molto più sul suo aspetto di costume piuttosto che sulla notizia in sé, mi sono chiesta ma se durante una riunione parlamentare o durante un meeting aziendale i suoi partecipanti stanno con un orecchio teso su ciò che avviene nella stanza e il dito indice pronto sullo schermo del proprio smart phone, cosa conta di più il fare o il dare la notizia per primi? A questo punto sempre Andrea Iannuzzi è intervenuto, risvegliandomi dal mio pensare, affermando che twittare può essere un buon servizio per il pubblico e per gli stessi giornalisti ma che non deve divenire uno strumento d'isterismo al chi arriva per prima a dare la notizia, insomma twittare sì ma con giudizio. Paola Faraca