Una casa di Bambola al Morlacchi
a cura di Silvia Pisacane
Di Henrik Ibsen, tradotto e adattato dalla regista Andrée Ruth Shammah, è uno spettacolo che sa come catturare l’attenzione dello spettatore, merito anche di un tema sempre attuale e universale: il confronto fra l’identità maschile e femminile.
Filippo Timi recita in maniera magistrale tre diversi ruoli: Helmer, il marito che cerca di essere autorevole ma che in realtà si diverte a giocare con la moglie come se fosse una bambola; Krogstad, il mascalzone che ricatta Nora per averle prestato dei soldi; infine il dottore morente, che prima di ritirasi nella sua malinconia da innamorato infelice confessa i suoi sentimenti per la protagonista. I personaggi interpretati da Timi si trasformano progressivamente, assumendo colore e carattere con l’avvicinarsi del finale.
Con ironia l’attore coinvolge il pubblico che non desiste a mostrarsi divertito, accompagnando il protagonista a suon di tarantella fino al momento critico della scena, quello della catarsi, dove Helmer diviene isterico a causa della decisione dell’amata di voler andar via.
Cosa hanno in comune i tre personaggi di Timi? Beh, vengono manipolati da una maschera femminile di innocenza e seduzione.
Una carismatica Marina Rocco, recita la parte di una mai banale Nora, che nello schema padre-marito veste consapevolmente i panni di una bambola accondiscendente e fragile. Condizionata dai pareri che gli vengono suggeriti dalle sue figure di riferimento, tesse i fili di una favola che prevede la felicità a tutti i costi. Con il susseguirsi degli eventi però, inizia a prendere coscenza di se stessa. Rafforza le sue abilità di astuta manipolatrice pur di ottenere ciò che vuole dai personaggi che ruotano intorno a lei. Ma quando la verità viene fuori, Nora non è più disposta ad indossare la maschera della moglie perfetta; persino “la casa di bambole” che si era costruita,“tra sogno e finzione”, perde di ogni significato e vede il marito come un estraneo. Nell’atto finale, incapace di continuare a sottostare al perbenismo e alle convenzioni sociali, Nora si ribella e va via di casa, pronta ad affrontare le critiche che la società riserva alle donne che lasciano il focolare. Esce di scena lasciando Helmer completamente solo e affranto, facendo quasi intendere che sia una trappola per alzare il prezzo del suo rientro.
Andrea Soffiantini interpreta la serva, che attraverso espressioni di saggezza popolare, spinge a riflettere riguardo alla trama. La vecchia signora spesso deve sostituirsi al ruolo di madre, in quanto Nora ansiosa di tenere in piedi la messinscena, non riesce a dedicarsi con amore ai figli e cerca di preservarli dal “veleno delle sue bugie”.
Contemporaneamente all’ evoluzione dei personaggi anche la scenografia cambia, passando dai toni fiabeschi del rosa a quelli più aspri del marrone. La cura di questi dettagli evidenzia la professionalità di tutto il cast con un risultato davvero sorprendente.