Vita da freelance
La libertà di poter raccontare i fatti, di stare continuamente “sul pezzo” visitando luoghi laddove il fatto si trasforma in notizia. Rischiare la vita, perderla nel nome della testimonianza, del racconto di storie destinate ad un pubblico che altrimenti ne rimarrebbe all’oscuro, ignaro della stragrande maggioranza di cose che accadono quotidianamente nel mondo.
Il dibattito sul freelance, figura centrale del giornalismo sin dalla sua nascita, si sviluppa all’interno del panel “vita da freelance”, in occasione della seconda giornata del Festival internazionale del giornalismo, alla presenza di Pierluigi Camilli, sindaco di Pitigliano ed ex-giornalista, Fausto Bertuccioli, speaker per Radio Rai, Alessandro Di Maio, economista freelance con un’esperienza quinquennale a Gerusalemme, Gabriele Micalizzi, fotografo per CesuraLab, e Valentina Parasecolo, giornalista di Vice.
Le testimonianze degli ospiti si intrecciano e si uniscono, nel racconto di carriere iniziate in Italia così come all’estero, vissute fra difficoltà (“per i primi tempi i soldi mi bastavano per mangiare pane, olive e pomodori pachino del posto” cita in proposito Di Maio), logistiche, ambientali, nel tentativo di capire le radici della crisi strutturali che il giornalismo sta vivendo in questi anni e reinventare o riscoprire un ruolo fondamentale come quello del reporter d’assalto, in prima linea.
Un ruolo che può assumere mille facce e che comporta pericoli di ogni genere. Un ruolo che può arrivare a portarsi via la vita di chi, come recita la toccante testimonianza di un padre come Pierluigi Camilli che solo un anno fa ha perso il figlio a causa dell’esplosione di un ordigno dormiente a Gaza, vuole cercare e raccontare storie in prima persona, senza intermediari.
Che sia la necessità di non sentirsi chiudere dentro lo stretto spazio di una redazione dopo anni passati da precario aspirante giornalista in prova in giro per l’Italia, come conferma Valentina Parasecoli, o la volontà di visitare dal vivo i luoghi che ci affascinano, che nell’incontro vengono simboleggiati dalla caotica e problematica Gerusalemme di Di Maio, la motivazione non importa.
L’importante è sentirsi vivi e in grado di offrire concretezza al pubblico, con articoli, consulenze, o servizi fotografici nel caso dell’esperienza di Gabriele Micalizzi, che con i suoi lavori per CesuraLab offre ai suoi osservatori una visione completa, attenta, a volte dura e cruda ma sicuramente viva e reale dei territori dilaniati dalla guerra.
Alla domanda finale dell’incontro, a quel “ma ne è valsa la pena?” conclusivo, la risposta non può che essere una: dopo tutto quello che si è sofferto, sacrificato, provato nel bene e nel male sì, ne è valsa la pena.
Andrea Coscetti, uRadio