I nuovi schiavi.

A Rossano, mio comune di nascita, capita spesso di sentir parlare di una parola della quale fino a qualche tempo fa poco o nulla sapevo: le ‘giornate‘. La sentivo e continuo a sentirla pronunciare, chiunque ne parla e ovunque se ne parla, nei bar, sulla spiaggia, lungo le vie principali della città durante le passeggiate pomeridiane, ma se provi a chiedere di cosa si tratta ti accorgi immediatamente dalle espressioni di chi ha sentito questa domanda che forse è meglio non addentrarsi in questo argomento. Il perché lo capisci dai sorrisi e dagli ammiccamenti degli interlocutori a cui rivolgi questo interrogativo. Che cosa sono le ‘giornate‘?
A questa parola sono legate numerose conseguenze, non sempre positive o addirittura lecite. Per ‘giornata‘ s’intende l’effettiva giornata lavorativa di un bracciante ed è ovviamente correlata a chi lavora nei campi. Sentir parlare di ‘giornate‘ e di versamenti di contributi è cosa usuale dalle mie parti ed addentrarsi in questo campo è come entrare in un labirinto che, fortunatamente per chi vuol saperne di più, non è poi così intricato come si può inizialmente pensare.
In Calabria esiste un tipo di sistema, quello delle’ giornate‘ per l’appunto, che alimenta una nutrita schiera di falsi braccianti che godono dei diritti previdenziali al posto di chi lavora veramente. Il gioco è semplice: vengono ingaggiati lavoratori extracomunitari ai quali però non vengono dichiarate le effettive giornate di lavoro. Vogliamo essere più chiari? Su 100 giornate lavorative, 20 vengono segnate al lavoratore extracomunitario, sottopagato e sfruttato, mentre le restanti 80 vanno alla moglie del padrone che sta a casa o gira in pelliccia senza aver mai raccolto neanche un mandarino o un arancia in vita sua. Chiaro ora? Andiamo oltre.
Chi ha costruito e chi tiene in vita questo sistema? Molto spesso si tratta degli stessi datori di lavoro, imprenditori agricoli e proprietari terrieri, le stesse persone che affittano appartamenti fatiscenti a prezzi elevatissimi e insostenibili a quei lavoratori sfruttati. C’è di mezzo la ‘ndrangheta che si è introdotta in questo sistema a gamba tesa grazie ai vari caporali che controllano il traffico di lavoratori extracomunitari e grazie anche al fatto di essersi inserita all’interno della filiera agrumicola tra il produttore e il consumatore, determinando l’innalzamento dei prezzi sia per i primi che per i secondi. C’è di mezzo anche la politica, quella affarista e clientelare che chiude gli occhi su questa realtà, che troppo spesso ha avallato un sistema di assistenzialismo di Stato a tinte fosche e che è riuscita a costruire intorno a questo mercato dei ‘nuovi schiavi‘ fortune politiche ed elettorali. Ci sono i commercialisti (alcuni, s’intende) che, dichiarando il falso, alimentano questo meccanismo ben oleato e consolidato e c’è anche l’INPS che non può non sapere e che, tra le altre cose, sarebbe anche parte lesa in questa così ben radicata usanza.
Basta svegliarsi all’alba per rendersi conto di quanto questo mercato del lavoro nero sia florido. Lungo le strade della mia città e dei comuni limitrofi si possono facilmente trovare schiere di donne e di uomini che attendono i loro caporali a bordo di improvvisati furgoni, pronti per caricare tutta questa carne umana da liberare nei campi. Ci sono romeni, ucraini, bulgari, polacchi, albanesi, tunisini, marocchini e algerini ad attendere questi taxi moderni, tutti in fila per venticinque euro al giorno oppure per un euro a cassetta raccolta da cui si deve sottrarre il costo del trasporto dal paese ai campi, che va dai tre ai cinque euro a persona. Reclutare queste persone è cosa semplice: per i caporali, siano essi italiani o stranieri, è compito assai facile riuscire a trovare gente disposta a tutto pur di avere un pasto e qualche euro da spedire nel proprio Paese d’origine. Solo qualche diocesi e qualche cooperativa sociale si occupa di loro ma lavorare in questa terra è compito assai arduo. Mancano viveri, coperte, letti e bagni per poter offrire loro un servizio decente, il tutto nella totale indifferenza delle istituzioni.
Finora non è stata registrata nessuna rivolta da parte di questi braccianti e la città sembra chiudere gli occhi di fronte a questa evidente realtà. Un po’ come dire che l’omertà è diventata cosa facile da assimilare e da recepire da parte di chi questa realtà l’ha conosciuta da poco. Turni massacranti, dodici ore di lavoro nei campi con la speranza di riuscire ad avere un compenso per il lavoro svolto, cosa che però non sempre accade. I fatti di Rosarno del 2010 sembrano essere molto lontani in questa terra dove ci si dimentica troppo in fretta di ciò che di violento accade. La realtà è che di giorno, volutamente, la popolazione ignora questa realtà facendo finta di non vedere o di non sapere mentre al calar del sole, al ritorno dei braccianti dai campi, si fa di tutto pur di non vederli in giro per le strade. Molto spesso ignorati, trattati come appestati, costretti a vivere all’addiaccio e maltrattati. Occhi chiusi di fronte all’evidenza e, purtroppo, anche di fronte alla morte. Così è stato per Aurel Galbau, romeno di 49 anni che il 19 dicembre scorso è caduto dall’albero sul quale stava raccogliendo le olive da portare nei frantoi. Aurel è morto di lavoro nero, lasciato cadavere nel campo in cui sperava di trovare denaro e lavoro e dove invece ha trovato solo la morte. Una telefonata anonima ha avvertito i carabinieri dell’accaduto ma l’ambulanza è arrivata troppo tardi per riuscire a salvargli la vita.
Questa è una delle tante storie di sfruttamento e morte che fanno fatica ad arrivare agli occhi e alle orecchie della cosiddetta società civile. Il silenzio delle istituzioni diventa pesante ed evidente risulta la volontà di ignorare realtà di questo tipo. Ci si domanda per quanto tempo ancora si continuerà a tollerare questa situazione, per quanto tempo ancora si chiuderanno gli occhi di fronte allo sfruttamento, al potere mafioso che gestisce e cura questi interessi, alle morti e ai nuovi schiavi. Ci si domanda tutto ciò nell’indifferenza di tutti.

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