Africa Unite, così sia
Quasi trent'anni di concerti e non sentirli. Gli Africa Unite, storica formazione reggae italiana nativa di Pinerolo, Torino, hanno aperto sabato scorso la stagione "invernale" dell'Urban. E, come è ovvio, via con la danza collettiva sulle note in levare di quella "sporca dozzina" che compone Rootz, l'ultima fatica della band.
Precisi, coinvolgenti, energici. La lista di aggettivi a sostegno della performance perugina della formazione torinese si potrebbe allungare a dismisura, ma tant'è che loro non risparmiano nulla e mettono in scaletta "vecchi" brani come Il partigiano John, Mentre fuori piove, Sotto pressione, La storia e via discorrendo. Apertura in puro dub-poetry con Cosa resta, recupero dei fiati e di un vecchio amico come T-Bone, Alex Soresini (!) alla batteria, Papa Nico alle percussioni, Ru Catania alla chitarra, Paolo Baldini al basso. La scena del "conquering lion" tocca al nuovo ritorno alle radici che si chiama Rootz. Atmosfere come ai tempi di Vibra, fila all'ingresso anche a concerto iniziato, pubblico pressato e appiccicato al palco, mani in aria e piedi impegnati nella danza. Si canta poco, questo è vero, ma gli applausi si sprecano. E poi il ritornello di Sotto pressione si fa insieme, dice Bunna, e l'Urban risponde in coro. E' andata. Se ne vanno dal palco due volte, gli Africa, per tornare a forza di richiami a suonare ancora più forte, e ancora più roots. Chiusura a colpi di "papà" rocksteady, e il pubblico perugino salta tanto da far tremare il locale. Ora sì che ci siamo, questo è un concerto degli Africa Unite.
Si sente da dio, Bunna non sbaglia una nota, Mada si butta a capofitto nel dub e sui synth, Alex ci da giù col groove, Ru suona, canta e prova pure due passi di ballo, Nico si agita tra improbabili strumenti e gingilli ma di andare fuori tempo non ci pensa proprio.
Tutti in piedi gente, passano gli Africa. E, parafrasando una loro canzone, "Così sia".
Ma, dicevamo, quasi trent'anni di live e non sentirli. Correva l'anno 1981, Bunna e Madaski si uniscono per dar vita alla formazione. Lo stesso anno della scomparsa della leggenda, Robert Nesta Marley. Per chi crede nel destino, questo è un segno. "Attenzione però, siamo più europei che giamaicani nel nostro suono e nel modo di intendere il reggae", ammonisce un sorridente Madaski prima del concerto. Di quell'intervista, purtroppo, non ve n'è più traccia utilizzabile. La tecnologia si è rivoltata contro gli "improvvisati" cronisti e ci ha fatto riportare a casa un poco rassicurante (e utilizzabile) collage di spezzoni e schermate nere. Peccato, perché la chiacchierata con l'anima dub degli Africa meritava eccome. Anzitutto per gli argomenti toccati, per il fascino indiscusso della coppia di conduttori di Zionet (più il sottoscritto) e, ovviamente, per la verve, l'ironia e le pungenti critiche che Mada non risparmia a nessuno, figurarsi a quella figura collettiva ed evanescente chiamata società. Italiana o giamaicana importa poco, ce n'è per tutti. Gli abbiamo chiesto di come è cambiato il reggae in questi ultimi trent'anni, dei volti nuovi che si affacciano sulla scena, dello spostamento del Rototom in Spagna perché la, in terra iberica, le canne mica se le fanno, del suono "made in Pinerolo", se prima o poi gli Africa torneranno in Giamaica, dell'omofobia e di cosa cambierebbe, con il senno di poi, nei dischi passati. Da fan sfegatati non potevamo non apprezzare intervista, concerto e autografo, rimediato dal sottoscritto e custodito gelosamente. Ce ne usciamo sorridenti per la memorabile performance, alzi la mano chi non l'ha fatto. Clo, a onor del vero, anche perché si è comprato il doppio vinile di Rootz e Fabio perché c'era reggae.
L'anno prossimo il "bambino" Africa Unite compirà trent'anni. Noi siamo qui ad aspettare che ritorni per festeggiarlo a dovere, potete scommetterci.