Macbettu al Teatro Morlacchi

a cura di Oscar Giambitto
 
 
Una chiusura in gande: MACBETTU al Morlacchi di Perugia
 
 
Macbettu di Alessandro Serra, già vincitore nel 2017 del Premio Ubu e ANCT - associazione nazionale critici del teatro, è stato portato in scena al Teatro Morlacchi di Perugia il 23 e il 24 marzo. Si chiude con questo spettacolo la stagione di prosa e di danza 2018-2019, in cui l’intramontabile Shakespeare drammaturgo, l’ha fatta da padrone, attraverso rivisitazioni audaci e singolari.
Non è da meno quella di Alessandro Serra che affidandosi alla traduzione e consulenza linguistica di Giovanni Carroni ha riletto la tragedia ‘Macbeth’, in logudorese barbaricino, ovvero in lingua sarda, che non è un dialetto, ma una vera e propria lingua riconosciuta dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità.
In uno spazio scenico vuoto si muove la compagnia composta da un cast di soli uomini, come nella pura tradizione elisabettiana e secondo i costumi sardi, tracciando luoghi ed evocando presenze.
Una sfida ai limiti dell’improponibili, quella di sostituire l’originaria Scozia medievale, con la Barbagia cupa e silenziosa, che porta con sé archetipi, rituali, tradizioni e richiami ancestrali proprio della cultura sarda ricca di mistero, colorando così la vicenda che rimane quasi intatta.
Macbeth è la storia di un uomo che, accecato dalla brama del potere, tesse con le sue mani, vivere la sua fine tragica, già prima di viverla, poiché sprofonda lentamente in un oblio senza fuga.
In un’atmosfera onirica, governata da una natura matrigna e beffarda, si sprigiona il sottosuolo della comunità nuragica, con le sue vibrazioni e le sue interiorizzazioni collettive, e tratteggiata dagli sguardi, le posture, i gesti, i portamenti impettiti dei protagonisti.
Il nero, il fumo, i costumi che nascondono quasi integralmente le fattezze dei personaggi, evocano il senso costante delle forze soprannaturali che operano dietro tutte le azioni umane: non solo le profezie e le apparizioni, ma il continuum di tensione e stupore, il ripetuto interrogarsi dubbioso, il tremore e il terrore, lo scontro tra due modi, una lotta per la sopravvivenza.
Una menzione particolare a Chiara Michelini, che ha curato l’intelligenza scenica, tutta espressa neidettagli: un enorme quadrato metallico come un menhir domina in profondità la scena. Si compone di tre lunghe strutture metalliche, che fungono da fondale e da mura del castello, per poi diventare spalti e porte, tavoli del banchetto e alberi della foresta, elementi coreografici di supporto ai movimenti alchemici delle streghe.
Non resta inadempiuta la presenza del pane carasau calpestato sulla scena, il cui scrocchiare ad ogni passo riempie la sala, lasciando lo spettatore con il fato sospeso e costringendolo a riflettere su temiuniversali come la brama di potere, la violenza, l’inganno, la solitudine, la vendetta e la violenza.