Discorso Celeste, indagine sensoriale sul trascendente e sull’alterità. #PdT14
Come parlare oggi di trascendenza? Di spiritualità, di oltre? Un discorso che spesso è relegato ad ambiti specifici, troppo intimo per essere associato a contesti diversi da quelli che lo riguardano strettamente. Ma l’uomo è inevitabilmente portato ad interrogarsi sulla trascendenza, perché ha bisogno, in ogni momento e ambito della sua vita, di aver fede in qualcosa. C’è una tensione alla verticalità nell’uomo che sfida sé stesso, che si pone obbiettivi, nell’uomo che si relaziona con il mondo, che lotta. La compagnia Fanny & Alexander, ma più precisamente Chiara Lagani, con il contributo drammaturgico ed attoriale di Lorenzo Gleijeses, propongono, in prima nazionale a Primavera dei Teatri, una performance sensoriale che rappresenta questa tensione dell’uomo, questo suo bisogno di fede, attraverso la metafora dello sport, in tutte le sue declinazioni. Lo sport che è la religione del nostro tempo, ma anche lo sport come disciplina dell’anima, offre un punto di vista inedito per comporre un quadro di suggestioni prima di tutto sensoriali - sonore e visive – che sollevano innumerevoli interrogativi sull’esistenza. Lorenzo Glejieses offre la sua fisicità ad un metapersonaggio, avatar di sé stesso, che si agita sul palcoscenico in balìa dei suoi istinti: ma l’istinto principe è quello di affidarsi ciecamente ad una voce superiore, vera protagonista dello spettacolo, voce-guida di un videogame, Dio, Padre e Allenatore. Questo personaggio invisibile ma tangibile assume ulteriori sfumature se si considera che la voce guida di Lorenzo-personaggio è quella di suo padre, Geppy Gleijeses. Nel campo da gioco della vita, l’esistenza stessa è un match, e l’uomo-giocatore è posto continuamente davanti alla sfida di diventare Campione, Dio a sua volta, creatore di sé stesso. Ma per far ciò, gli è richiesto di “saltare”: “Il salto nella fede promette novità,/ non è un salto nel buio ma nella verità./ Il dono della fede richiede libertà,/ è vita sempre nuova per chi l’accoglierà”. Questo affidarsi prende le sembianze di un livello da superare; il campo da gioco delimita anche i confini tra l’interiorità ed il mondo: la prima partita da vincere è quella con la sfera intangibile di noi stessi, con il trascendente, avversario e allenatore al contempo, che prende forma in luci accecanti, che distorcono la vista. La concretezza di quella voce onnipresente ed il bisogno di relazionarsi con essa del protagonista sembrano suggerire anche l’importanza dell’alterità, la necessità dell’uomo di farsi comunità, di avere nell’altro un punto di riferimento, di entrare in relazione con il prossimo: la voce che invita il figlio-giocatore ad allungare la mano per avere finalmente una prova concreta della sua esistenza, fa allungare quel braccio verso il pubblico - materialmente, l’utilizzo della tecnologia 3D rende questo contatto quasi reale - quasi a suggerire che il divino lo si può trovare negli altri; attraverso il contatto con gli altri possiamo sperimentare il trascendente.