Filumena Marturano l'intramontabile

a cura di Oscar Giambitto.
 
 
Mirabile avvio di Stagione di Prosa al Teatro Morlacchi di Perugia, con l’intramontabile ‘Filumena Marturano’, scritta nel 1946 da Eduardo De Filippo e ripresentata dalla regista Liliana Cavani.
Ardua sfida per i due protagonisti: Mariangela d’Abbraccio, nel ruolo del titolo, e Geppy Gleijeses, in quello di Domenico Soriano (don Mimì), per competere con le personalità che precedentemente hanno portato in scena la commedia; in primis la nota Titina, sorella dell’artista. Alzato il sipario lo spettatore é proiettato in una tipica abitazione napoletana (curata da Raimonda Gaetani), ravvivata dalla foga di Soriano.
 
Filumena, strappatogli un matrimonio, tenta di legittimare il suo posto e con una sorprendente rivelazione, riferisce di avere tre figli segreti. Uno di questi è dell’amato, ma il suo nome rimane celato. Tale segreto ribalta la situazione, consentendole la conquista della dignità sociale nel ruolo di moglie e madre. Sembra che Filumena intenda, sin dal primordio, quello che la sorte le riserva, ma indugi per incoraggiare la trasformazione in divenire di Domenico. L’oscillazione ininterrotta tra comico e semitragico tiene desta la tensione, mentre si assiste ad una magistrale interpretazione della d’Abbraccio.
 
Scena dopo scena porta avanti il suo personaggio, in bilico fra l’amore materno e quello coniugale. Travolgente, con gesti decisi, voce forte e sfumature di docile disperazione, conferisce alla rappresentazione un pathos elevato, che raggiunge il suo apice nel monologo della “Madonna delle Rose”. Penetrante è Gleijeses che con abili esperessioni facciali mostra lo struggimento interiore del personaggio, coronato dalla musica originale di “Teho Teardo”.
La resa linguistica in “dialetto napoletano” implica l’accompagnamento delle parole con gesti, che ne esemplificano il livello semantico; Rosalia Solimene (interpretata da Nunzia Schiano), una donna del popolo, è la personificazione di questo connubio. La Cavani, assistita da Mariana Bianchini, non stravolge l’originale trama della commedia, ma evidenzia i tratti peculiari dei protagonisti omettendo qualche dettaglio scenico.
 
L’illuminazione resta per lo più invariata nel corso della rappresentazione; da notare come Luigi Ascione, con un gioco di luci e di ombre, pone l’accento sulla battuta: “E filie so’ ffiglie… e so’ tutte eguale”.