Il gioco suicida dell’amore ed il delirio dell’esistenza: Namur (o della guerra e dell’amore) #PdT14

Dal fondo di una luce fumosa e calda, pulviscolo di atmosfere, emergono due sagome perfettamente disegnate dal controluce, eppure rarefatte, confuse come un risveglio. L’attimo sospeso in cui questi corpi assumono gradualmente un’identità lascia presagire l’intimità appena consumatasi, ma lo sciogliersi della nebbia rivela la natura insolita della coppia: due fuggiaschi che l’assurda casualità degli eventi ha reso amanti, due destini diversi che la paura ha fatto incontrare, due generazioni unite dal caos.Namur è insieme luogo e situazione, città e sentimento, unite nel titolo dello spettacolo dal trabocchetto fonetico di una vocale. Scritto nel 1998 da Antonio Tarantino, la storia di Marta e Lucien incontra il palcoscenico solo durante la seconda giornata di Primavera dei Teatri 2014, ma sembra venire da lontano.Un testo denso, pastoso, parole che si avvolgono su sé stesse: ma il dialogo è non-comunicazione. I flussi di coscienza dei due protagonisti percorrono binari paralleli, uniti solo dalla contemplazione dell’orrore della guerra (Céline sembra riecheggiarvi), e anche lì da prospettive differenti. Marta è una donna non più giovane, che ha preferito la deriva del campo di battaglia all’umiliante destino di moglie obbediente e ipocrita. Lucien invece è giovane, la guerra per lui è un dovere, e mal nasconde la vigliaccheria di chi è costretto ad andare incontro alla morte. Universi lontani che si cercano, che necessitano l’uno dell’altro; lo sfondo della guerra napoleonica è solo un pretesto per raccontare i meccanismi eterni dei rapporti umani, la precarietà del sentimento unita alla costante necessità dell’altro: un altro che riempia un vuoto, che illumini con una semplice, illusoria parola il panorama oscuro e inquietante dell’orrore che ci circonda; o che rappresenti una via di fuga, che ci faccia da scudo, da alibi, che ci fornisca un’altra identità temporanea per salvarci. Ciò che rende Marta e Lucien distanti non è la differenza d’età, ma la differenza di sesso. Lei vive l’illusoria passione con abbandono disincantato, anche il suo corpo si lascia scuotere dal tocco del giovane senza opporre resistenza. E’ convinta di amare Lucien anche se l’ha conosciuto poche ore prima: il suo amore la rende giovane, coraggiosa, pronta ad assecondare anche i suoi egoismi, pronta a morire pur di salvarlo. Lui la guarda con tenerezza ma con l’imbarazzo di chi ha un altro fine, disposto ad alimentare l’inganno, a fingere un sentimento che gli è estraneo pur di ottenere il suo aiuto.Mondi  su mondi si intravedono nelle parole di lei; semplici e lineari i panorami interiori di lui. Il flusso incessante di parole è accompagnato da una fisicità ossessiva, in cui il contatto fisico costituisce a sua volta un canale comunicativo,trasudando gli umori, gli odori, la sporcizia di due corpi in balìa della disperazione.  Il suicidio-omicidio toglie ogni speranza, suggerendo che l’amore può trionfare, ma al prezzo  della vita stessa e mai per volontà di entrambi. La densa coltre attraverso cui la luce scava fessure sembra trattenere le emozioni. Gli attori del gruppo Kismet OperA - Teresa Ludovico, regista e protagonista, e Roberto Corradino - paiono posseduti dal testo, visibilmente provati dalla tensione evocata. Degno di nota il lavoro di Vincent Longuemare che ha curato il disegno luci.