Il Rameau che si cela in ognuno di noi: Silvio Orlando al Morlacchi

Il Rameau che si cela in ognuno di noi: Silvio Orlando al Morlacchi
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Collaboratore
Titolo Spettacolo: 
Il Nipote di Rameau di D. Diderot

"Venite a vedere Il Nipote di Rameau, perché è semplicemente Teatro". Con queste parole il professor Tinterri ha concluso l'incontro con Silvio Orlando e la sua compagnia. Non avrebbe potuto descrivere meglio lo spettacolo, momento di vero Teatro sempre più raro. Chi ha potuto assistere alla prima, quella di mercoledì scorso, è stato accolto nel teatro da un misterioso e intenso odore di incenso che già contribuiva a rendere mistica l'atmosfera e renderci partecipi di un evento unico. Ad apertura sipario è una scena accogliente, semplice ma curata ad introdurci nelle atmosfere settecentesche del mondo di Rameau, anti-eroe per eccellenza, e di Diderot. Il testo infatti nasce come dialogo satirico tra lo stesso filosofo - impersonato da un maestoso Amerigo Fontani- ed il nipote del celebre musicista Rameau, servo geniale (definizione cui lui stesso inorridirebbe) di una società corrotta e pericolosamente simile a quella attuale.
Un aspetto trasandato, una parrucca arruffata ed un portamento dinoccolato fanno di Orlando quel personaggio arguto, a tratti disprezzabile, le cui parole, come un “granello” di lievito, fanno emergere in chi lo ascolta tutte le contraddizioni della società e dell’essere umano.
Affascinante ed evocativo l’uso del linguaggio musicale in questa messinscena “d’altri tempi”: l’eleganza delle note del clavicembalo suonato “live”dal M° Luca Oddo fa da velluto su cui si adagiano i funamboleschi voli pindarici del filosofo e del suo alter ego Rameau.
Straordinaria l’alchimia istaurata con il pubblico grazie anche alla scelta di non ricorrere a mezzi di amplificazione, ulteriore monito a non cedere alla passività cui ci ha abituati la tv e a farci protagonisti attivi, insieme agli attori, del transeunte della finzione teatrale: anche questa particolarità fa del lavoro di Orlando un esempio di vero teatro. In un momento di crisi morale e materiale, questo spettacolo (autoprodotto da Orlando e sua moglie Maria Laura Rondanini, anch’ella sul palcoscenico nei panni della serveuse) dimostra come per fare cultura di spessore non occorrano cifre esorbitanti né imponenti finanziamenti: “Penso che il teatro debba essere povero ma mai misero”dice Orlando.
Testo che non nasce per il teatro, è stato sapientemente adattato alla scena da un intenso lavoro a quattro mani da parte dello stesso Orlando e di Edoardo Erba, tra i maggiori autori teatrali contemporanei. Non hanno ceduto alla tentazione di inserire palesi riferimenti all’attualità, perchè il testo parla già abbastanza esplicitamente di valori, contraddizioni, vizi che ci riguardano da vicino seppur espressi in linguaggio settecentesco. Eppure ciò che impreziosisce questa messa in scena è l’atteggiamento con cui Orlando ce la propone: il testo si presterebbe facilmente ad una lettura moraleggiante che assume i toni inquisitori della condanna. Orlando invece ha l’umiltà di mettere in discussione prima di tutto se stesso, chiedendosi quanto di Rameau possieda in prima persona, consapevole del fatto che infondo il servilismo, l’ipocrisia, l’opportunismo che vediamo nel protagonista covano in ognuno di noi e vengono fuori al di la della volontà; fondamentale è dunque esserne consapevoli, interrogarci. Il ghigno di Rameau chiude lo spettacolo con le parole “Riderà bene chi riderà ultimo”: un teatro “civile”non deve farsi gabbia ideologica né indicare strade, ma stimolare, far sorgere dubbi, far si che il pubblico torni a casa con addosso un po’ di quella sana inquietudine madre della saggezza e del genio.