L’ “inferno dei viventi” , tra ironia e disperazione: Thanks for Vaselina #PdT14
L’officina onirica della Carrozzeria Orfeo ci trasporta in quello che Gabriele di Luca (autore, protagonista e co-regista dello spettacolo che ha chiuso la XV stagione di Primavera dei Teatri) definisce l’”iperquotidiano”, una realtà concreta ma raccontata in maniera estrema, a tratti pulp, con una buona dose di umorismo, estremo a sua volta. Thanks for Vaselina (“dedicato a tutti i familiari delle vittime e a tutte le vittime dei familiari”) è un vortice di sferzate al nostro mondo contraddittorio, sferzate che non concedono tregua, scavano in un inferno senza fine; ci tratteggiano la più disperata e disperante realtà attraverso un’ironia che nasce nell’assurdo, ma che dà spazio anche a momenti di luce, riflesso di un inespresso bisogno d’amore. La parolaccia è catartica: un linguaggio spinto e ‘politicamente scorretto’ si fa veicolo di una presa di coscienza che lotta con l’impotenza, lasciandoci aggrappati ad una speranza irrisoria. La stanza-laboratorio, luogo fisso di tutta la vicenda, ospita un calderone di situazioni paradossalmente (ma neanche tanto) sovrapposte e collegate: tutta la barbarie della nostra società trova la sua espressione, tutte le ipocrisie e gli inganni del nostro tempo vengono derisi con amarezza, nessuna piaga sociale è esclusa da questo quadro assurdamente realistico. L’interpretazione vibrante e sentita di tutti gli attori aggiunge credibilità ad una vicenda che il nostro lato perbenista vorrebbe non riconoscere come verosimile. Ma a riportarci la concretezza di quel microcosmo rappresentato, di questa famiglia maledetta non così lontana dalla normalità, sono le energie – negative- che si propagano dal palcoscenico, addirittura gli odori “proibiti” che raggiungono la platea, e che inducono lo spettatore a liberarsi dei filtri ipocriti con cui si è abituato a guardare al mondo. Quella di Thanks for Vaselina è un’umanità sconfitta dal peso delle sue stesse illusioni, dalla logorante corazza di cinismo che si è dovuta imporre: un concerto di tazzine tintinnanti si fa metafora di una comunità che non è altro che un insieme di solitudini addossate alla rinfusa. La penna drammaturgica di Gabriele Di Luca è disincantata e cinica, ma non priva di un barlume di speranza; nel titolo stesso del lavoro sta la chiave di lettura: sebbene ironico a sua volta, rimanda al passo conclusivo de “Le città invisibili” di Italo Calvino: “ L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.