La forza trascinante della gioventù: The History Boys
"Le parole sono mondi". È stato calcolato che in media un discorso standard contiene circa 150-170 parole al minuto. Immaginate ora uno spettacolo della durata di circa tre ore, e fate un po' il calcolo di quanti "mondi" esso possa contenere. Semplice metafora, ma efficace, per introdurre il pluripremiato spettacolo "The History Boys", vera miniera di temi, spunti, citazioni e provocazioni.
Un fiume in piena di energia travolge il pubblico, tra canzoni, musiche, inserti metateatrali, catapultandolo fin dalle prime battute nell'ambiance di questa classe di neodiplomati. Protagonisti i promettenti allievi di storia ( interpretati da 8 altrettanto promettenti giovani attori) alle prese con la preparazione all'agognata ammissione ad "Oxbridge"; presto però l'obiettivo finale si rivela solo un mezzo per innescare una storia di crescita e di maturazione dei giovani, ma anche e soprattutto degli adulti. La scena sembra essere divisa a metà da uno specchio tra generazioni in cui ci si guarda dai due lati: da una parte l'intuito spontaneo e scanzonato dei ragazzi più maturi dei loro prof, dall'altra i "grandi", rinchiusi in debolezze, ipocrisie, opportunismi spiccioli, eterni adolescenti.
Come seguito da un occhio di bue, il punto di vista si sposta continuamente, permettendoci di conoscere questi personaggi da ogni lato, in tutta la loro umana complessità.
Così Hector, un trascinante Elio de Capitani, appare come il professore idolo, il trasgressore, profondamente innamorato di una cultura che "per sua natura non può essere generale, ma specifica", che strappa i programmi ministeriali e gioca con i suoi alunni a riprodurre scene di famosi film e a riconoscere poetiche citazioni. Ma in realtà nasconde le sue debolezze di omosessuale inconfessato, per dirla alla francese "gay-refoulé", quasi tenero agli occhi dei suoi allievi che si prestano al suo gioco senza cedervi, evitando semplicemente di umiliarlo, con la lucidità del loro spirito smaliziato.
Se Hector incarna il duende, il "demone" passionale che educa alla curiosità e all'amore per la bellezza, il giovane professor Irwin (Marco Cacciola, attore intelligente) rompe l'abituale originalità dei metodi di Hector e per questo appare inizialmente come un antagonista, un freddo omologatore che suggerisce di porre l'ambizione davanti all'onestà intellettuale e addirittura alla verità storica. Presto però si rivela anch'egli altrettanto affascinante e la repulsione iniziale degli History Boys si trasforma in ammirazione se non in attrazione autentica, in un dialogo osmotico a colpi di provocazioni.
In questo ribollire di situazioni emergono spunti di riflessione sul valore della storia, della cultura, dell'insegnamento, della fede e della sessualità. La naturalezza caratterizza questo spettacolo, nel suo significato più positivo: ognuno degli attori (in particolare i giovani talenti, bellissima e rincuorante sorpresa per le scene italiane) si muove disinvolto nel proprio ruolo, cresce con il suo personaggio, gli da spessore, si emoziona e riflette con lui. Con il risultato sorprendente di accattivare il pubblico al punto che ci si affeziona a questa classe, si ha quasi l'impressione che quelle situazioni, quei dialoghi, facciano parte di noi, di un nostro passato realmente vissuto. O forse, di un passato che ci piacerebbe aver vissuto.