La parola canta al Morlacchi
a cura di Francesca Ricci
La parola canta è lo spettacolo dei fratelli Toni e Peppe Servillo, accompagnati dal prezioso contributo dei Solis String Quartet, messo in scena al Teatro Morlacchi di Perugia dal 31 ottobre al 4 di novembre.
Si apre la stagione di prosa con un omaggio a Napoli, e alla cultura partenopea tra letteratura, teatro e musica.
L’opera, composta di un unico atto, è un alternarsi scenico di cantato e recitativo per raccontare Napoli, le sue contraddizioni e le sue emozioni, che arrivano dirette e scaldano il cuore dello spettatore. Peppe Servillo, in particolare, torna nel suo territorio tradizionale che è la canzone, con cui affronta il territorio della poesia napoletana.
Quante volte ci è capitato di non trovare le parole giuste per descrivere un sentimento e ci siamo serviti di una canzone o di una poesia che potesse evocarlo? La parola canta si ripropone di fare questo, di far diventare il teatro musica e la musica teatro, in cui proprio la musica è in grado di trasportare lo spettatore in un altro luogo e di fargli immaginare i luoghi di Napoli, anche se a Napoli non c’è mai stato. In una lingua antica, dialettale che restituisce suoni talvolta perduti ma che risulta comprensibile anche a chi di Napoli non è, perché troppo autentica e immediata per non comprenderla. Può sfuggire il significato di qualche parola precisa, ma questo passa subito in secondo piano rispetto alle immagini suggestive che le stesse parole cantate sanno trasmettere.
“Le canzoni aiutano la gente perché dicono la verità. Anche se sono sceme dicono la verità, ma del resto non sono sceme perché non lo sono mai”.
Così l’amore e musica o l’amore e la poesia, strette in una connivenza immortale e che insieme sono fuoco emozionale senza tempo, si sposano benissimo in queste quasi due ore, senza risultare mai ne banali ne noiose.
La scena è libera da ogni distrazione, sul palco solo i due fratelli Servillo e i quattro musicisti, con due violini, una viola e un violoncello. Le voci si fondono alle note degli strumenti e a quelle corde pizzicate con immensa bravura e precisione. Lo spettacolo è un crescendo di emozioni, con un ritmo sempre più incalzante. Luci e ombre, curate da Francesco Adinolfi e il suono di Massimo D’Avanzo si alternano e si susseguono in un gioco magistrale, che accompagnano lo spettatore nella quotidianità di Napoli. Napoli di Pulcinella, di mozzarella, di Forcella, Napoli di Maradona, di San Gennaro, di camorra, Napoli di Gomorra.
Napoli di paranza, di creanza, Napoli di latitanza. Vitalità e disperazione. Rappresentato in scena è anche un monologo di Toni Servillo che racconta la storia di Vincenzo, il mariuolino, un ragazzino che il ladro doveva fa per campà e che domanda asilo in Paradiso perché sennò la protezione a San Giuseppe che l’aveva chiesta affà. A donare alla rappresentazione una nota alta di umanità è anche la parentesi su Genova, Litania, scritta da Giorgio Caproni, ed interpretata in modo ineccepibile da Toni Servillo, in cui traspare tutta la sua urgenza espressiva.
Lo spettacolo si compone di diverse canzoni, ognuna collegata a quella precedente con armonia, senza brusche rotture, e dopo “A casciaforte” e “ Dove sta Zazà”, si chiude sulle note di “Te voglio bene assaje” che racchiudono tutto l’amore più profondo per Napoli.
Tra risate, momenti di riflessioni e immagine evocate, lo spettatore esce da Teatro arricchito, divertito e sicuramente invogliato ad andare il prima possibile a Napoli e vedere con i propri occhi tutto quello che stato raccontato, perché si è fissato nell’anima.