Mumble Mumble

a cura di Oscar Giambitto
 

Continua la ventiquattresima edizione della stagione INDIZI promossa dalla compagnia del Tetaro di Sacco con lo spettacolo “Mumble Mumble- Confessioni di un orfano d’arte” portato in scena l’1 e il 2 dicembre 2018 alla Sala Cutu di Perugia.
A sipario aperto, lo spettatore può osservare un palcoscenico spoglio e poco illuminato, sul quale un uomo, di media statura, indossando un mantello scuro sta provando un monologo. Si immedesima in un inquisitore che dialoga con Gesù Cristo, rifacendosi ad una nota opera e si comprende il riferimento ad un’opera di Dostoevskij.
Si tratta dell’attore Emanuele Salce che in prima persona, con un fare umoristico, espone la sua storia. Il suo essere figlio e orfano d’arte, il Mumble Mumble di casa, un nomignolo datogli per il suo incespicare nel parlare e che vagamente ricorda la figura stereotipata che borbotta nei fumetti.
Definibile come un’analisi psicologica che si serve dell’umorismo per narrare la morte di due uomini che hanno segnato la storia del Teatro Italiano: Luciano Salce e Vittorio Gassman e di ciò che resta di loro nel figlio, vissuto nell’ombra poiché in perenne contrasto con i due pardi.
Paolo Giommarelli, in modo magistrale, funge da voce della coscienza, da psicoterapeuta e guida; quasi un Virgilio per un Dante, senza il quale lo stesso Emanuele non sarebbe stato in grado di scavare nel suo io per fare emergere quegli interrogativi a cui è costretto a rispondere in modo crudo e spassionato.
La prosopopea della morte pervade la scena, non la morte dura che sovrasta l’uomo bensì il ‘rito funebre’, il momento più triste e comico al contempo, sfumato dalle voci dei parenti e degli amici, dagli sguardi di conoscenti o accentuato da richieste inaspettate.
Perché ciascuno ha il suo modo di reagire alla morte ma la congiuntura si aggrava quando occorre mantenere un’immagine e rispettare i cliché sociali.
L’apex è toccato con la descrizione della Morte mentre si è ancora in vita, perché nessuno muore una volta sola.
Con ritmo sostenuto, giochi di luce e ombre e voci fuori campo si recupera la Bellezza di un orfano d’arte che ha riposto in un giusto archivio le grandi eredità paterne ma a proprio vantaggio, varcando la soglia del Teatro solo quando il confronto era venuto meno, almeno in vita.